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Che succede al “manifesto”? Quinta puntata

Leggiamo dal giornale di ieri la breve lettera di Parlato.

Mi chiamo fuori, mi dispiace
Cara Norma,

quel che state facendo, sulla nuova cooperativa e sul possibile rilancio del giornale non mi convince affatto. La crisi non è solo di soldi, ma anche di soldati e di linea. Anche la riunione del 4 di novembre non so che fine abbia fatto. Per tutto questo mi pento di non essermi associato subito alla posizione di Rossana, cioè di separazione. Lo faccio con questa lettera, con moltissima amarezza e anche pensando che negli anni passati avrei dovuto fare di più e anche litigare di più. Dopo più di quarant’anni sono fuori di questo manifesto che è stata tanta parte della mia vita. Mi dispiace. Un abbraccio

Valentino Parlato

Secco e conciso, come fa in genere chi ha già detto tutto e non ha altro da aggiungere. Gli accenni leggibili anche da fuori sono importanti e chiari.
Un problema di “soldati e di linea”, ovvero di composizione attuale della redazione e li linea editoriale. Nel caos della politica italiana attuale, specie a sinistra, incapace di interrogarsi sulle ragioni profonde (“strutturali”) di quanto sta avvenendo, “il manifesto” di qualche anno fa avrebbe puntato un faro con intenti chiarificatori. Magari non sarebbe riuscito a portare alla luce tutti gli elementi essenziali, ma qualcuno certamente sì. E sarebbe stato prezioso per tutti, anche per chi – e noi tra tanti – che difficilmente hanno concordato con le scelte di “via Tomacelli”. Il giornale attuale, invece, dà da diversi anni stancamente conto di quanto “nella società politica” (le segreterie dei partiti) si dice e si ridice. Spesso con “pezzi” che raccontano quel che – alla mattina, quando andiamo in edicola – sappiamo già fino alla noia. Versani ha detto, Vendola ha detto, Berlusconi ha contraddetto… Mai uno spunto, un lampo, uno scarto che permetta di elevarsi sopra il bla-bla di fondo.
Anche di questo s’era parlato nell’assemblea nazionale del 4 novembre con i lettori (ne abbiamo dato conto anche allora: https://www.contropiano.org/it/news-politica/item/12319-il-manifesto-diviso-padrone-padrone-o-azionariato-diffuso?), ma la direzione attuale (Norma Rangeri) non aveva dato peso al dissenso; né a quello esterno, anche rumoroso, tantomeno a quello interno. Tant’è vero che da lì a pochi giorni, in una sequenza che avrebbe stordito un elefante, hanno preso le distanze Vauro, una delle fondatrici – Rossana Rossanda -, una lunga lista di “firme storiche” (Matteuzzi, Pascucci, Dakli, Galapagos, Doninijanni, Paternò, Campetti, Ciotta, Silvestri, ecc), poi Alessandro Robecchi, Marco D’Eramo e ora Parlato.
Stiamo parlando del “cuore” del giornale, della sua faccia pubblica dalla fondazione in poi. Difficile pensare che smettano di scrivere per disamore o addirittura per problemi “venali” (come è stato orribilmente scritto in occasione delle lettere d’addio di Vauro e D’Eramo).

Le risposte della direzione (e di qualche redattore) sono state sempre molto tranchant, prive di spiegazioni razionali o politiche. Un “noi siamo qui”, a “fare il giornale”, in una sindrome da ciurma che si è voluta impafronire della nave, non sa “manifestamente” guidarla e impreca contro coloro che – sembra di capire – dopo anni di scontri interni decide di andarsene. Prima che la nave finisca sugli scogli e senza dar vita al quella stucchevole commedia tra ex che si separano tirandosi gli stracci in faccia.

Il commento che anche questa volta Rangeri ha dedicato a un addio è vagamente lunare. Leggiamolo.

 
La cooperativa spazio per tutti
Caro Valentino,

la tua scelta di associarti alla posizione di Rossana la capisco, ma le tue parole mi colpiscono. Perché sei sempre stato al nostro fianco, perché non ci hai fatto mai mancare i tuoi consigli e le tue critiche, perché sai cosa significa costruire ogni giorno il giornale. E mi sembrava volessi accompagnare il nostro tentativo di costituire una nuova cooperativa, per poi aprire, come penso sia giusto e necessario, un discorso comune sul futuro. Senza la nuova cooperativa il giornale andrebbe incontro alla chiusura, con una cesura, questa volta sì, con la sua storia. E i lettori, il nostro bene più prezioso, ci scrivono che il manifesto è più importante delle nostre persone. L’impresa di far nascere la nuova cooperativa è il nostro agire politico, il modo di tenere aperto uno spazio di confronto per tutti. Sono momenti amari, per chi è in queste stanze, come per chi se ne è allontanato. Come ricorderai, in questa lunga e travagliata fase di transizione, ho scritto, più volte, che una volta superato lo scoglio della nuova cooperativa, la direzione, insieme all’attuale assetto del giornale, avrebbe concluso il suo compito ed esaurita la sua responsabilità. E così sarà. Sperando nell’inizio di un’altra storia.
Norma Rangeri

Cosa è lunare? Ma se la “nuova cooperativa” sarà davvero “uno spazio per tutti”, come mai “tutti” se ne vanno?
A noi, soltanto lettori critici, sembra di poter dire che le firme che lasciano rappresentano in genere “la sinistra” di quel giornale; o quanto meno la parte “propositiva”, quella che si interroga sul mondo invece di limitarsi a fotografarlo. A parte il grande Michele Giorgio, che continua a scrivere dalla martoriata Palestina, non certo da una seggiola romana, non troviamo ormai articoli che ci dicano qualcosa che non sapevamo già. Qualche intervento esterno, qualche reportage o inchiesta extra redazione, tantissimo Pd appena compensato da un’intervista solitaria qualche segretario extraparlamentare. Scomparso il conflitto sindacale, silenzio sull’economia globale e quella italiana. Un po’ di tifo – ora – per il “movimento arancione”, ma sempre senza un punto di vista che aiuti a discernere, selezionare, “interrogare”.
Non sappiamo, insomma, se la “nuova cooperativa” vedrà la luce, ma vediamo che la “linea politico-editoriale” sarà molto “conclinate” con il Pd, via Vendola, e le sue scelte. Capiamo anche che “la proprietà” della testata non sarà della coopertiva, né dei “circoli dei lettori”; ma di qualcun altro, ancora ignoto.
Non sappiamo se tutte queste “firme storiche” daranno vita a un progetto alternativo. Ma siamo certi che il futuro promesso da Norma Rangeri & co. non avrebbe politicamente e giornalisticamente molto a che fare con la storia de “il manifesto”. Criticabile sempre, banale mai.

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2 Commenti


  • Luciano

    Per chi ancora si chiede,giustamente,cosa accade al Manifesto,consiglio di andare a spulciare negli annali del giornale e leggere un vecchio articolo/commento sulle pagine interne dedicate alla battaglia interna al vecchio Pci ,all’epoca del suo scioglimento promosso dalla maggioranza che ha poi dato vita al Pds.Bene, Norma Rangeri titolò l’articolo “L’elmetto di Achille”,prendendo da subito posizione a favore della maggioranza occhettiana.La “cultura politica”della Rangeri si rifà a quel tipo di esperimento che ha trasformato un partito dai tratti ancora moderatamente socialdemocratici in un partito al servizio permanente della borghesia.La sua direzione è stata coerente con questa linea dove il conflitto di classe vero veniva espunto e considerato un residuo da incanalare nelle tranquille acque della “sinistra plurale”.Il giornale ,persa la sua componente critica,diverrà ancor più un foglio dei resoconti parlamentari del prossimo partito al governo, da non disturbare troppo con pretese rivendicative da parte di quei soggetti sociali devastati dall’offensiva del capitale.Insomma,come si disse un tempo,parafrasando lo slogan di scioglimento del gruppo del Manifesto nel suo ultimo congresso si può affermare che “il Manifesto è morto omettendo il”viva il Manifesto”!


  • almanzor

    Al poco da salvare aggiungerei anche le saltuarie ‘inchieste’ (old style) di Polo e alcuni articoli della ‘redazioni economica’ (Piccioni, in particolare: c’è ancora ?).

    Dall’esterno mi pare sempre più probabile una deriva ‘sansonettiana’. Del resto basta vedere il tenore di buona parte dei commenti on line …

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