Il No Monti Day non è finito dopo il successo della manifestazione del 27 ottobre. E’ questa la prima sensazione e le prime conclusioni alle quali si può giungere dopo l’assemblea nazionale tenutasi ieri a Roma e convocata dalle forze politiche, sindacali e sociali promotrici della manifestazione che ha visto in piazza decine di migliaia di persone contro le misure del governo Monti. La scommessa era tutt’altro che semplice, e per molte ragioni.
Nella storia recente sono state pochissime le occasioni che non hanno visto disperdersi le forze all’indomani di grandi e magari riuscite manifestazioni nazionali (do you remember il 16 ottobre 2010 della Fiom o lo sciopero generale dei sindacati di base dell’ottobre 2008?). In secondo luogo il clima pre-elettorale con il suo carico di tensioni, spinte e controspinte in direzioni diverse, reso ancora più incalzante dalle concomitanti assemblee a Roma e tutte le altre città delle forze che stanno lavorando sull’ipotesi di “Cambiare si può”. In terzo luogo abbiamo verificato che se è relativamente facile far convergere forze diverse tra loro su una scadenza o su uno scopo specifico, è assai più difficile tenerle insieme intorno a contenuti e a pratiche condivise e nel tempo.
Questa scommessa è stata vinta dall’assemblea di ieri sia sul piano della partecipazione (sala grande e piena) che ha smentito i pessimisti – che ormai abbondano troppo spesso nelle file e nella cultura di una sinistra residuale – e sia sul piano della discussione, che ha cercato in tutti i modi di rimanere sui contenuti di quella che è stata proposta e definita come una Agenda No Monti, piuttosto che sui contenitori per concretizzarla. “Di fronte all’agenda Monti che sarà quella praticata dal governo che uscirà dalle elezioni, sia esso moderato o di centro-sinistra” ha affermato nell’introduzione Giorgio Cremaschi “la sinistra non oppone nessuna agenda alternativa anzi propone l’agenda Smemoranda”. “Cambiare si può o gli Arancioni non si sono neanche posti il problema di interloquire con i contenuti e i promotori della manifestazione del 27 ottobre”. Al contrario, ha insistito, “noi vogliamo costruire una agenda alternativa all’austerità. Il problema non è solo quello che vogliamo ma come facciamo ad ottenerlo”. I punti della possibile Agenda contro l’austerità sono stati presentati in un breve documento approvato al termine dell’assemblea (vedi sotto) terminata alle ore 16.00 dopo una trentina di interventi.
Il primo contributo è venuto da una compagna attiva in Ecuador che ha resocontato su come questo paese latinoamericano stia cincendo la sua sfida contro il pagamento del debito, per la nazionalizzazione delle risorse e lo sviluppo sociale in aperto contrasto con gli interessi di Usa e Fmi e in alleanza con gli altri paesi latinoamericani dell’Alba.
Il dibattito è stato piuttosto articolato e in molti passaggi si è intersecato con quello interno del Comitato No Debito che rimane la coalizione unitaria decisiva sia per il percorso fatto nell’ultimo anno e mezzo sia per il futuro. Piero Bernocchi dei Cobas, che del No Debito non fanno parte ma che sono parte del Comitato No Monti, ha insistito con alcune cautele sul passato e sul futuro respingendo ogni precipitazione organizzative se prima non viene sperimentato un lavoro comune. Più convinti i comitati No Debito locali (Milano, Padova, Pisa) ed anche altre esperienze come Rete dei Comunisti, Carc, Usb, Rete 28 aprile, Forum Diritti Lavoro. Mauro Casadio (RdC) ha messo sul piatto anche l’idea di una prospettiva generale dentro cui collocare sia le singole vertenze che una agenda comune di rivendicazioni avanzate sul piano politico, economico e sociale. La proposta di quella che è stata definita come “Alba euromediterranea” (nell’accezione ovviamente delle esperienze di integrazione realizzate in America Latina) può cominciare a delineare questa prospettiva di rottura del polo imperialista costruito intorno all’apparato e al progetto delle classi dominanti sull’Unione Europea. “Si può tornare a parlare di rivoluzione? Ormai ne parlano tutti, da Celentano ai moderati, tranne che i comunisti” ha ironizzato Casadio.
Alcuni interventi, pur apprezzando lo sforzo di sintesi intorno ad alcuni contenuti dell’agenda No Monti, hanno preteso di più ridando vita ad una tradizione un po’ gruppettara, anche se leale, che appare però fuori bersaglio.
Nel dibattito si è affacciata anche la campagna elettorale (un fattore per molti aspetti inevitabile). Lo ha fatto compagno del PCL (Gemmo) tirando bordate verso le altre ipotesi elettorali. Lo ha fatto, ma onestamente solo in chiusura di intervento, il segretario del Prc Paolo Ferrero, invitando a trovare una convergenza comune contro il Fiscal Compact. Lo ha fatto Turigliatto di Sinistra Critica possibilista ma non del tutto su Cambiare si Può.
Gli altri interventi sono stati soprattutto sui contenuti della agenda contro l’austerità con una particolare esigenze di trovare in essa risposte anche alle vertenze specifiche (es. le piccole e medie fabbrichea rischio chiusura o in crisi) e quindi esprimendo una aspettativa al momento superiore alle possibilità in campo o a disposizione del percorso dell’agenda No Monti. Pochi interventi (Pagliani, Cararo) e questo non è un bene, hanno segnalato l’importanza del punto contro la guerra nell’agenda. Appare quasi desolante la disattenzione generale sul tema. Eppure qualcuno dovrebbe dare un’occhiata al recente provvedimento varato da governo e parlamento con la legge di revisione sulle Forze Armate o al recente convegno tenutosi alla Camera sulle missioni militari italiane all’estero o, soprattutto al contesto regionale nel Mediterraneo o internazionale, per capire che il XXI° Secolo – dopo Iraq, Afghanistan, Libia etc. – non ci ha fatto ancora vedere il peggio della storia e del coinvolgimento dell’Italia.
L’assemblea si è conclusa con l’idea di riconvocarsi subito dopo le elezioni per prendere le misure della mobilitazione contro il nuovo esecutivo che, da quanto emerge, sarà comunque un governo che si muoverà sui tempi e i diktat dell’Agenda Monti. Contrapporgli una agenda alternativa sarà compito di tutti, di quelli che parteciperanno alle elezioni e di quelli che non lo faranno.
Qui di seguito il documento approvato dall’assemblea e alcuni video:
Guarda i video con alcuni servizii sull’assemblea:
http://www.youtube.com/watch?v=UgYzf5QKx7U&feature=player_embedded#!
http://www.libera.tv/videos/3968/no-monti-franco-russo-%28forum-diritti-lavoro%29.html
Il documento
Le prossime elezioni hanno già dei vincitori: sono lo spread e il fiscal compact, il pareggio di bilancio e l’austerità, il massacro dei diritti sociali, civili e del lavoro; insomma l’Agenda Monti.
Mentre si scontrano per le elezioni, tutti i partiti presenti in parlamento votano a favore della legge che applica il pareggio di bilancio costituzionale. si afferma così il partito unico del fiscal compact.
I governi più potenti d’Europa, in primis quello tedesco, e i principali poteri economici pretendono la continuità delle politiche economiche e sociali liberiste e di austerità e tutti i principali schieramenti e partiti hanno già accettato questo vincolo.
E intanto la crisi economica si aggrava: in Italia un terzo della popolazione è a rischio povertà, 5 milioni sono i disoccupati e tutti i lavoratori/trici assieme alla maggioranza della popolazione vedono calare il loro reddito e la loro sicurezza sociale. I governi che si sono succeduti in questi anni sono responsabili di aver portato l’Italia al disastro economico, ma Monti ha rappresentato la stessa risposta alla crisi che ha portato la Grecia alla devastazione sociale e che sta facendo sprofondare il nostro paese. Insomma, tanto più aspro viene fatto apparire il prossimo scontro elettorale, tanto sono ridotte le reali differenze programmatiche tra le forze politiche in grado di vincerlo: e ciò segnala il massimo di regressione del confronto democratico del paese, il degrado delle alternative politiche reali, facendo apparire le prossime elezioni, dominate dal potere dello spread, un appuntamento privo di vere scelte.
Per questo le forze e le persone che hanno organizzato il No Monti Day hanno deciso di iniziare insieme un lavoro per definire in un’Agenda anti-austerità, le basi per costruire piattaforme e lotte con contenuti di rottura con le politiche dominanti. Un percorso unitario che reclami scelte alternative alle politiche economiche e sociali del centrosinistra, del centrodestra e dei governi tecnici che si sono alternati in questi decenni nella sostanziale continuità delle scelte di fondo, che sia alternativo alle politiche di concertazione e complicità sindacale che hanno portato il mondo del lavoro italiano in una delle condizioni peggiori d’Europa, nonché alle politiche di competitività, produttività, privatizzazione che distruggono la salute delle persone, l’ambiente, i Beni comuni; e che rompa con i vincoli della Troika, del FMI, della BCE e della Commissione Europea, che sono voluti dai governi liberisti e dalla finanza e dal grande capitale internazionale.
I temi fondamentali qui elencati definiscono una prima base di un’Agenda alternativa a quella montiana: proponiamo che vengano approfonditi e diffusi a partire dall’Assemblea, con un lavoro comune nel periodo che ci separa dalle elezioni.
Rifiuto della guerra e dell’austerità, per i diritti sociali e del lavoro
Rinuncia immediata alla commessa degli F35 e taglio di tutte le spese per nuovi armamenti. Ritiro delle truppe italiane dalle missioni all’estero e messa in discussione dei trattati internazionali con la rottura con ogni politica di guerra ed intervento militare. Sostegno alla lotta del popolo palestinese e a tutte le lotte di liberazione dei popoli.
No al vincolo del pagamento del debito e no all’austerità europea, ritirando l’adesione ai trattati liberisti, dal Fiscal Compact ai Patti di stabilità, fino ai trattati di Maastricht, per dire basta alle politiche liberiste ed avviare un percorso di trasformazione sociale. Rifiuto del pareggio di bilancio costituzionalizzato.
Una politica fiscale che colpisca la ricchezza e la finanza e ridistribuisca reddito, contro l’evasione fiscale a partire da quella del grande capitale, per il rilancio della spesa pubblica, per il lavoro e lo stato sociale. Una politica di pubblicizzazioni nel sistema bancario, svincolata dai mercati finanziari, e nelle imprese strategiche con forme democratiche di controllo da parte dei lavoratori/trici e dei cittadini
La lotta alla disoccupazione e alla precarietà del lavoro costituisce il punto prioritario di ogni politica economica di rottura col liberismo e l’austerità. Bisogna procedere al blocco dei licenziamenti nel privato come nella pubblica amministrazione. Vanno cancellate le controriforme delle pensioni degli ultimi governi, va ridotto l’orario di lavoro a parità di salario come unico vero strumento di redistribuzione delle attività utili. Va eliminata tutta la legislazione che dal Pacchetto Treu alle leggi Biagi, Sacconi e Fornero ha destrutturato il mercato del lavoro autorizzando tutte le forme di precarietà.
Bisogna riaffermare ed estendere la tutela dell’art. 18 contro i licenziamenti ingiusti e istituire un reddito che copra la disoccupazione per tutta la sua durata, finanziato dalla fiscalità generale. Vanno detassate le pensioni medio-basse. Va riaffermata l’autonomia rivendicativa dei lavoratori a partire dal contratto nazionale, contro i vincoli di compatibilità, le deroghe e gli accordi tra sindacati collaborazionisti e governi degli ultimi anni. Vanno garantiti tutti i diritti sociali e civili ai migranti e va abolita la legge Bossi-Fini.
Per la Scuola pubblica, la Sanità e lo Stato sociale.
La scuola, l’università, la formazione e la ricerca pubbliche devono essere rilanciate e rifinanziate cancellando il finanziamento alle scuole private. Va respinta l’aziendalizzazione della scuola e dell’istruzione, va ripristinato ed esteso il diritto allo studio fino all’Università.
Aumentare e democratizzare le funzioni dello stato sociale, garantendo trasparenza nei conti attraverso il controllo democratico della popolazione.
Deve terminare il massacro della Sanità pubblica che anzi va massicciamente finanziata e potenziata, come i trasporti, l’energia, le telecomunicazioni che devono essere riconosciuti come servizi pubblici e come tali gestiti.
Vanno rilanciate ed estese le tutele dello Stato sociale, che rappresentano la principale conquista democratica dell’Europa. Il diritto alla casa deve essere affermato in concreto.
Per l’ambiente e i Beni comuni, la salute nel lavoro e nel territorio.
Ci opponiamo ad una crescita distorta fondata sullo sfruttamento dell’ambiente come delle persone, alla politica delle cosiddette Grandi opere che va abbandonata e sostituita da quella delle migliaia di piccole e medie opere davvero necessarie per risanare l’ambiente, ricostruire, mettere in sicurezza il territorio e le città. Vanno prioritariamente cancellati la Tav in Valle Susa e il decreto che autorizza la produzione all’Ilva di Taranto. Non si può continuare a sacrificare la salute e l’ambiente a produzioni dannose in cambio di un lavoro nocivo a sé e agli altri, non più lavoro socialmente accettabile.
Il salario dei lavoratori va comunque tutelato e se, come all’Ilva di Taranto, il privato non intende finanziare la bonifica dei territori e delle fabbriche, allora lo stato deve intervenire attraverso la nazionalizzazione e l’esproprio e procedere al risanamento mantenendo il salario dei lavoratori.
Il lavoro deve soprattutto venire dalla politica di salvaguardia ed estensione della funzione pubblica e sociale dei Beni comuni, a partire dalle produzioni davvero strategiche ed utili; da un piano di riconversione delle produzioni industriali, di risanamento del territorio, di riassetto idrogeologico e di tutela della biodiversità che può occupare un enorme quantità di persone; da un piano per i Beni culturali e storici e per la ricerca scientifica che metta all’opera intelligenze e competenze oggi inutilizzate.
Per una vera democrazia.
La centralità del pubblico rispetto al mercato pone la necessità di veri poteri democratici nei luoghi di lavoro, nella società, nel sistema politico. Bisogna eliminare i privilegi della casta e combattere a fondo la corruzione e le mafie, ma non certo affidandosi ai privilegi e al potere della ricchezza e del grande capitale. Bisogna istituire e sviluppare i poteri della gestione e del controllo democratico, da ideare e praticare a partire dai conflitti sociali e lavorativi quotidiani, dopo decenni di autoreferenzialità della rappresentanza politica.
Vanno cancellati i patti di concertazione sindacale che subordinano la rappresentanza alla accettazione degli accordi, vanno restituiti a tutte le organizzazioni sindacali e ai lavoratori/trici i pieni diritti di contrattazione, assemblea, voto sugli accordi, stabilendo sistemi di formazione e misurazione della rappresentanza nazionale, di quella locale e aziendale davvero democratici, limpidi e senza privilegi per nessuna organizzazione.
Vanno estese nel territorio la democrazia e la partecipazione e va resa obbligatoria la consultazione delle popolazioni sugli interventi nel territorio.
I cittadini italiani devono essere chiamati a decidere con adeguata informazione sul fiscal compact e i trattati europei che impongono l’austerità.
Roma, 15 dicembre
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