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Monti apre in Fiat la sua campagna elettorale

Una sagra del falso dal chiaro sapore di adunata fascista (come fu Mussolini al LIngotto nell’ottobre del 1932), con gli operai “normalizzati” ad applaudire a comando, come in un talk show, e i segretari generali dei due sindacati già ora di regime, Raffaele Bonanni per la Cisl e Luigi Angeletti per la Uil. Fuori dai cancelli solo una conferenza stampa-presidio organizzata dalla Fiom, presente il segretario generale Maurizio Landini. Assente e irreperibile su entrambi i fronti Susanna Camusso, il più opaco segretario che la Cgil abbia mai avuto.

E’ necessario allineare le dichiarazioni intrecciate del vertice Fiat e dell’uomo di Goldman Sachs in prestito come presidente del consiglio. Del resto i due si intendono di golpe come pochi altri, in questo paese (vedi anche L’invasione).
Presentando il nuovo piano di sviluppo dello stabilimento – dovrebbe produrre due mini Suv (nel 2014!, con calma…) , secondo l’ultima promessa – Marchionne ha ricordato che la Fiat ha deciso di puntare su Melfi per “senso di responsabilità” nei confronti dell’Italia.

«Possiamo e dobbiamo fare dell’Italia una base per la produzione di veicoli per tutto il mondo». Difficile dargli credito, visto che fin qui ha chiuso due stabilimenti (Termini Imerese e l’Irisbus di Avellino), ha investito meno di un miliardo sui 20 promessi due anni fa, quando sbandierava un programma di sviluppo colossale; ha imposto il “modello Pomigliano” su tutti gli stabilimenti, mentre proprio nel Giambattista Vico ha ri-assunto soltanto 2.000 dei 5.000 ex dipendenti anche qui, in barba all’”accordo” da lui stesso imposto con una pistola alla tempia dei lavoratori.

Gli ha fatto da sponda il gelido tagliatore che sta già correndo per le elezioni pur non avendo ancora rassegnato le dimissioni né aver esplicitato la sua “disesa in campo”. «Sarebbe irresponsabile – ha detto infatti Monti – e credo nessuno oserebbe farlo, dissipare i sacrifici degli italiani, che hanno capito questa necessità» perché si rischia di far piombare il Paese «in uno stato leggermente nirvanico».

Contrappunto marchionnesco: «Siamo riconoscenti a Monti per ciò che ha fatto. L’agenda del suo governo dimostra coraggio e lungimiranza. L’annuncio di Melfi è il primo di una serie di investimenti che faremo anche negli altri stabilimenti. Non chiederemo aiuti pubblici. L’investimento complessivo della Fiat a Melfi sarà di un miliardo di euro. Sarà l’unico stabilimento al mondo a produrre il piccolo suv Jeep».

Ma il punto fondamentale è un altro: «quello che accade qui non è magico ma è emblematico della svolta possibile in Italia, è quello che vorrei per il Paese». Con queste parole Monti ha decretato che il “modello Pomigliano” può e deve diventare la normalità delle relazioni industriali in Italia: senza diritti, senza rappresentanza sindacale (tranne quella finta, a busta paga dell’azienda), senza contrattazione nazionale, con pieno arbitrio nella definizione di orari, straordinari, mansioni, salario, ecc.

Sarà interessante sapere da Bersani e Vendola se questo punto centrale dell’”agenda Monti” è da loro condiviso, se pensano di ritoccarlo una volta arrivati – ma forse cominciano a dubitarne loro stessi – a palazzo Chigi. Oppure se lo accettano come un “non problema” o un “sacrificio” necessario a “rilanciare il paese”.

Noi pensiamo di poter scommettere sulla “seconda che hai detto”.

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