* Il Manifesto 5 gennaio 2013
Si tratta di un paese con sedimentate relazioni culturali, sociali, politiche, consuetudinarie con il nostro e, quindi, vale la pena soffermarsi sulle motivazioni di tale richiesta di rifiuto. Chiarendo subito che credo che essa debba essere accolta e Lander Fernandez Arrinda non debba essere estradato.
Partiamo dall’urgenza dell’appello: la quarta sezione della Corte d’Appello di Roma si riunirà per decidere il caso il prossimo martedì 8 gennaio, dopo aver più volte chiesto chiarimenti alle autorità spagnole, a testimonianza di qualcosa di poco convincente nella richiesta. Poi, qualora l’estradizione venisse ritenuta giuridicamente fondata e venisse accolta, resterebbe soltanto una decisione d’ordine politico circa il darne o meno esecuzione; ma di questi tempi d’interregno istituzionale si rischia che sia eseguita quasi automaticamente, senza il necessario fermarsi a riflettere sulle conseguenze, potenzialmente gravi.
I fatti di cui egli è accusato risalgono a più di dieci anni fa e consistono nell’aver dato fuoco il 20 febbraio 2002 a un autobus vuoto a Bilbao, nel quadro di un insieme di azioni dimostrative.
In una comunicazione ufficiale, peraltro richiesta dalla Corte italiana, le autorità spagnole hanno chiarito che risulta che il fatto non avesse la possibilità di cagionare danni a persone e che non è mai stato rivendicato da alcuna organizzazione terrorista. Quindi, il tutto dovrebbe concludersi con una prescrizione.
Tuttavia la qualificazione del reato gioca nella decisione. Lander Fernandez è basco, è accusato di contiguità con l’Eta, data la sua appartenenza alla presunta organizzazione terrorista Kale Borroka – denominazione che letteralmente significa «Violenza di strada» – e l’episodio viene ricollegato a giornate di lotta indette dall’Eta, nei giorni antecedenti il 22 febbraio di quell’anno.
Da qui il qualificarlo non più come danneggiamento semplice, bensì come danneggiamento terroristico e la conseguente richiesta di estradizione: una tortuosa argomentazione. L’Italia ha posto l’accusato agli arresti domiciliari sin dallo scorso giugno e ora ci si avvia verso la decisione. Vale la pena allora ricordare alcuni elementi, al di là della forzatura procedurale che s’intravede in questo caso. Il primo è che la Spagna non è mai riuscita a dare prova sufficiente per confutare le accuse di maltrattamenti e tortura delle persone fermate in quanto accusate di appartenenza o contiguità con l’Eta. Accuse, queste, mosse da molte organizzazioni non governative internazionali e dallo stesso Rapporteur delle Nazioni Unite contro la tortura. Non solo, ma la particolare procedura che l’Audiencia Nacional – una procura e un tribunale ad hoc per questi casi – può attuare in questi casi prevede la possibilità di detenzione segreta (la cosiddetta detenzione incomunicada) per cui l’accusato è tenuto in particolari celle, senza possibilità di accesso all’avvocato e senza inopportuni sguardi esterni di chicchessia; anche il giudice lo vedrà soltanto quando egli o ella darà la sua declaración. Questa opacità non consente alle stesse autorità di controbattere alle accuse di tortura e inoltre spesso le indagini sulle violenze che gli arrestati dichiarano di aver subito non vengono adeguatamente investigate. Per questo la Corte di Strasburgo ha condannato anche recentemente la Spagna per violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti umani (divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti).
In occasione di sue ispezioni proprio rivolte al sistema di detenzione incomunicada, il Comitato per la prevenzione della tortura ha più volte evidenziato pratiche inaccettabili, quali il tenere le persone incappucciate, la non registrazione delle loro presenza etc; ha così evidenziato il rischio che il sistema – che ripetiamo è esclusivamente rivolto a persone accusate di reati di questo tipo – sia finalizzato a ottenere nomi, informazioni, confessioni. Le risposte avute dalle autorità spagnole sono sempre state inadeguate e non in grado di dissipare i consistenti dubbi. Del resto lo stesso Ombudsman (difensore civico) del Paese basco ha più volte formulato gli stessi rilievi.
Ecco perché credo che finché la Spagna non avrà dissipato tali dubbi e non avrà abolito un sistema così pre-moderno e oscuro, non sia giusto estradare una persona ben sapendo quale sarà la caratteristica del rischio a cui la si espone.
Anche per non essere noi stessi complici di eventuali esiti nefasti che richiamerebbero anche la responsabilità del nostro paese di fronte al giudice sovranazionale: non solo sono vietati maltrattamenti e tortura, ma anche il rinvio di una persona verso un luogo o una situazione che la espone a tale rischio. Tanto più per un reato sostanzialmente minore di undici anni fa.
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