Nuova bufera sul Carroccio. Repubblica apre il suo giornale di oggi raccontando che sarebbero sotto osservazione le spese del gruppo a Palazzo Madama.
Interrogata la segretaria del tesoriere che dice: «il gruppo pagava l’affitto del senatore Bricolo e una sua carta di credito. Al senatore Calderoli veniva dati 2.000 euro al mese. Dal dicembre 2011 li ritirava in contanti». Ma ci sarebbe anche il pagamento dell’affitto al capogruppo (1.250 euro) e la copertura della sua carta di credito; assegni girati a collaboratori per finalità non chiare.
Il quotidiano annuncia che la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un’inchiesta, curata dal sostituto Roberto Felici. Inchiesta che è ancora alle battute iniziali: gli inquirenti sono in fase di riscontro, ma sembra stia procedendo piuttosto spedita.
A fare rivelazioni assai documentate è la segretaria del tesoriere del gruppo (il senatore Piergiorgio Stiffoni) Manuela Maria Privitera. Nata nel ’67 a Londra, tra i pochissimi ad avere gestione piena e diretta dei milioni di euro di fondi pubblici nelle disponibilità del gruppo a Palazzo Madama.
Emerge un quadro senza precedenti dalla sua deposizione resa il 27 novembre scorso in Procura e dal memoriale che la stessa segretaria consegna ai pm, con tanto di allegati e ricevute. Il quotidiano pubblica anche la foto del verbale della deposizione di Privitera.
Fin qui la cronaca. Se il “vecchio” centrodestra berlusconian-leghista immaginava di potersi ripresentare sulla scena politica, a un anno di distanza, contando sulla raida dimenticanza pubblica degli innumerevoli scandali che l’avevano messo fuori gioco, ha fatto male i suoi conti. Tanto più se, com’era ampiamente previsto, l’impostazione della sua campagna elettorale viene impostata su un “anti-montismo” e anti-europeismo straccione. Le Ruby, i Fiorito e i Trota sono migliaia da quelle parti. Basta anzare un attimo la pietra, in qualsiasi punto del loro terreno, e il verminaio viene allo scoperto.
Questo non ci sorprende affatto. Ma ci sembrano necessarie due osservazioni.
La prima è quasi ovvia. Il “centrismo montiano” può cercare consensi elettorali solo demolendo le casematte del centrodestra fin qui esistito. Prendere voti “a sinistra” è molto più difficile, nonostante Ichino (non proprio il massimo della popolarità, da quelle parti), anche perché gran parte della base sociale di centrosinistra è quella che più ha subito i contraccolpi delle “riforme strutturali” tatuate dal governo “tecnico”. Poiché il potere clientelare dei montiani è indubbiamente minore di quello berlusconian-leghista, un buon modo di sottrargli consensi già barcollanti è fucilarne lo stato maggiore sul campo giudiziario e mediatico. La destra italiana futura dovrà essere europeista doc e un po’ meno famelica quanto a denaro pubblico. Le sue entrate, del resto potranno essere incrementate dal normale lobbismo, come a Bruxelles.
La seconda è di carattere più generale. Le critiche alle modalità di costruzione dell’Unione europea e alle politiche della Troika (Bce, Ue, Fmi) sono ampiamente sgradite ai vertici del nuovo establishment italico. Se potessero le metterebbero fuori legge. Non potendo, cercheranno di “silenziarle” – come da autorevolissimo invito dello stesso Monti – tramite il controllo assoluto dei media (quotidiani e tv) e, a seconda del soggetto “contestatore”, qualche inchiesta “suggerita” alla magistratura (che ha l’obbligo dell’azione penale quando riceve – non importa come – una “notizia di rearo”) o più sbrigativo e disinvolto uso della forza di polizia.
Questa considerazione riguarda ovviamente anche e soprattutto l’opposizione di classe a queste politiche.
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