Quando abbiamo ascoltato Monti pronunciare la seguente frase abbiamo per prima cosa preso fiato: «Non dico tutta, ma una parte della sinistra pone molta attenzione in teoria all’aspetto disuguaglianze, ma spesso soffoca i meccanismi per la crescita, che sono basati su efficienza, produttività e competitività».
Era necessario farlo perché questo è un giornale e le espressioni verbali che ci salivano alle dita erano invariabilmente insulti, da piazza o da stadio, non certo valutazioni freddamente calcolate. Ora invece possiamo parlare con un po’ più di calma.
E partiamo col dire, paradossalmente, che Monti ha una parte di ragione: le ragioni dell’egualianza sono effettivamente in contraddizione con “efficienza, produttività e competitività”. Ma solo nel caso – ampiamente verificato nella pratica quotidiana – che il risultato dell’attività produttiva debba pagar dazio al profitto privato, alle rendite immobiliari, alla speculazione finanziaria.
Non esiste infatti nessuna ragione “tecnica” che impedisca a una produzione orientata alla soddisfazione dei bisogni sociali di essere altamente “efficente e produttiva”; persino “competitiva”, in casi che ora sarebbe fuorviante mettersi ad elencare. Certo, se tutta questa attività deve invece essere orientata a soddisfare il guadagno privato crescente di una parte sempre più ristretta della popolazione (globale, perlatro), allora “l’egualianza” diventa impossibile per definizione e l’unica “crescita” possibile diventa quella che si misura in termini di Pil e si trasforma trimestralmente in redditività del capitale.
Naturalmente per Monti e il suo mondo (il capitale multinazionale euro-statunitense) non esiste altro dio al di fuori del profitto di impresa, quindi non è neppure concepibile un sistema economico basato su scopi diversi dall’arricchimento individuale.
Ma non vogliamo star qui a fare filosofia o “economia politica”, occupiamoci degli aspetti immediati che motivano le sortite sempre meno presentabili del “tecnico” che si pretende “dalla parte dei cittadini”.
«Non sono più sopra le parti, ma sono equidistante dalle parti politiche di destra e sinistra che sono una categoria vecchiotta: cerco di mettermi dalla parte dei cittadini». Ricapitoliamo per far capire a tutti: lui “non è sopra le parti”, ma “le parti” non sono più definibili come “destra” e “sinistra”. E allora quali sono? Monti dice di essere “dalla parte dei cittadini”. Bene. Qual’è allora la controparte? Lo Stato? La burocrazia? I partiti (ne ha appena formato uno, per quanto scombiccherato come tutte le aggregazioni di interessi di breve durata e senza cemento ideale)? Silenzio.
Inutile qui dire che, invece, per noi “le parti” sono principalmente due (anche se non sono soltanto due): chi è costretto a lavorare per vivere e chi guadagna su questo lavoro.
Qualcosa in più Monti la dice esibendo “un certo travaglio” prima di arrivare alla scelta di mettersi «dalla parte della gente comune che è diffidente verso la politica». Perché, pur “soffrendo” intimamente, «valeva la pena di scendere dal piedistallo dell’essere superpartes e scegliere una parte: quella degli esclusi che non trovano lavoro; dalla parte dei giovani per evitare che dissipiamo le loro risorse; dalla parte degli italiani per valorizzare meglio l’enorme patrimonio di cultura».
È il passaggio che più richiede autocontrollo per non passare agli insulti. In tredici mesi di governo, Monti (validamente assistito da irresponsabili e tecnicamente incompetenti come Elsa Fornero, incapace persino di calcolare quanti “esodati” sarebbero stati creati dalla sua riforma pensionistica) ha strappato la carne viva a decine di milioni di lavoratori, pensionati, precari, disoccupati, giovani (manganellati in piazza, per di più); mentre salvava la Chiesa dal pagamento dell’Imu sui suoi alberghi e cliniche, assisteva le banche (il caso Montepaschi vale da paradigma), coccolava le assicurazioni, salvaguardava la spesa militare mentre bombardava quella sociale, chiudeva istituti di ricerca e metteva sul lastrico la conservazione dei beni culturali (forse il principale asset che ci è rimasto, come paese).
È praticamente incalcolabile il numero di provvedimenti che hanno aumentato il numero degli “esclusi” o ne hanno aggravato la condizione (private a mettere insieme blocco dei salari, ricatto della licenziabilità senza più l’art. 18, il pagamento dell’Imu e la riduzione dei servizi sanitari, tanto per far due conti semplici). È addirittura inconcepibile lo sfregio fatto nei confronti dei “giovani” per mezzo dell’aumento dell’età pensionabile, che li rinvia di altri anni per l’accesso al lavoro “vero” e li condanna nel frattempo ai “lavoretti” usa e getta.
Sul piano politico, però, sono altrettanto insopportabili tutti i “caduti dal pero” che solo oggi sembrano accorgersi che Monti è Monti, ovvero l’uomo della Trilateral e del Bilderberg che deve “cambiare il modo di pensare degli italiani” e farne degli esecutori belanti delle decisioni prese in quelle e altre sedi (Bce, Fmi, Ue). Questi “ingenui” sono gli stessi – Bersani e Vendola, per capirci – che intanto sottoscrivono il “rispetto degli accordi europei”, ovvero il catalogo di “riforme” scritte nero su bianco, per quanto in forma sintetica, nell’”Agenda Monti”.
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“Gli esseri umani non sono stati progettati con criteri di efficienza per adattarsi a un sistema capitalistico di produzione”.
Eric Hobsbawm, Il secolo breve