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Una sentenza “ad personam”?

Lunga ed ampiamente argomentata la sentenza della Corte Costituzionale, la prima del 2013, sul conflitto di Attribuzione sollevato dal Presidente Napolitano nei confronti della Procura di Palermo e sul quale i giudici costituzionali si erano già sommariamente espressi dichiarandolo fondato, in quanto “non spettava ai PM di valutare la rilevanza delle intercettazioni, né di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271 del codice di procedura penale”.
 
Uno sforzo notevole quello compiuto dalla Corte Costituzionale, ma non per questo del tutto convincente. Anzi, rimane forte l’impressione che sull’esito del giudizio abbiano pesato considerazioni di opportunità politica.
Non possono sfuggire a nessuno, del resto, le drammatiche conseguenze che vi sarebbero state nel caso la Consulta si fosse pronunziata contro le ragioni del conflitto sollevato dal Presidente Napolitano; in una fase, peraltro, dagli equilibri politico-istituzionali estremamente fragili.
Ma a rafforzare i dubbi sono soprattutto le poche righe a conclusione della sentenza, di segno totalmente opposto alle tantissime parole spese in precedenza.

Ritornando cioè al nocciolo della questione, le intercettazioni che, casualmente, perché rivolte ad altri soggetti legittimamente intercettati, potrebbero captare colloqui del Presidente della Repubblica, debbono, in ogni caso, essere immediatamente distrutte o no?
A leggere le conclusioni, ma non solo, non sempre!
 
A fronte, infatti, di un generoso sforzo interpretativo, in grado di delineare un campo d’azione delle tutele godute dal Presidente della Repubblica a dir poco sterminato, leggendo tra le righe è possibile scorgere alcuni elementi che, in qualche modo, potrebbero costituire la ciambella di salvataggio alla quale aggrapparsi di fronte alla necessità di “evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi“.
 
Viene da pensare che la Consulta, “silenziando” la propria coscienza, abbia provato a rispondere e risolvere, lasciando uno spiraglio aperto, alla più ovvia delle domande:
ma se le intercettazioni involontarie potrebbero essere utili, ad esempio, ad un’eventuale difesa, che si fa, le si distrugge lo stesso?
No, non sempre.
 
Ma vediamo di riassumere, per sommi capi, i passaggi essenziali della sentenza, per lo più attingendo a piene mani (in corsivo) dalla sentenza stessa.
 
1) “Al fine di decidere il presente conflitto di attribuzione, non è sufficiente una mera esegesi testuale di disposizioni normative, costituzionali od ordinarie, ma è necessario far riferimento all’insieme dei principi costituzionali, da cui emergono la figura ed il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano.” 
 
2) Il Presidente della Repubblica svolge una particolare funzione di equilibrio tra i Poteri che lo distingue da tutti gli altri organi costituzionali, con conseguenti forme di tutela particolare al fine di poter svolgere al meglio questa funzione.
 
3) “L’art. 90 Cost. prevede che il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione. È opinione pacifica che l’immunità di cui alla citata norma costituzionale sia onnicomprensiva, copra cioè i settori penale, civile, amministrativo e politico. Tuttavia la perseguibilità del Capo dello Stato per i delitti di alto tradimento e di attentato alla Costituzione rende necessario che, allo scopo di accertare così gravi illeciti penali, di rilevanza non solo personale, ma istituzionale, possano essere utilizzati anche mezzi di ricerca della prova particolarmente invasivi, come le intercettazioni telefoniche.”
 
4) Soltanto il “Comitato parlamentare, di cui all’art. 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (Norme integrative della Costituzione concernenti la Corte costituzionale),” ha, però, “il potere di deliberare i provvedimenti che dispongono intercettazioni telefoniche nei confronti del Presidente della Repubblica, sempre dopo che la Corte costituzionale abbia sospeso lo stesso dalla carica: un’eccezione, stabilita con legge ordinaria, al generale divieto, desumibile dal sistema costituzionale, di intercettare le comunicazioni del Capo dello Stato.”
 
5) Ciò premesso, “va riaffermato che il Presidente, per eventuali reati commessi al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni, è assoggettato alla medesima responsabilità penale che grava su tutti i cittadini. Ciò che invece non è ammissibile è l’utilizzazione di strumenti invasivi di ricerca della prova, quali sono le intercettazioni telefoniche, che finirebbero per coinvolgere, in modo inevitabile e indistinto, non solo le private conversazioni del Presidente, ma tutte le comunicazioni … In tali frangenti, la ricerca della prova riguardo ad eventuali reati extrafunzionali deve avvenire con mezzi diversi (documenti, testimonianze ed altro), tali da non arrecare una lesione alla sfera di comunicazione costituzionalmente protetta del Presidente.
 
6) “La stessa Procura della Repubblica di Palermo, non contesta che sia inibita qualunque forma di intercettazione telefonica nei confronti del Presidente della Repubblica ed ha piuttosto incentrato le sue difese sull’asserita impossibilità di riferire tale divieto alle intercettazioni «casuali».” 
 
7) “Se l’intercettazione è stata casuale, cioè non prevedibile né evitabile, il problema non è quello di affermare il suo divieto preventivo, che, in via generale, esiste, ma non è applicabile nella fattispecie – anche per le modalità tecniche della relativa esecuzione – proprio per la casualità e l’imprevedibilità della captazione” …
Pertanto, “La funzione di tutela del divieto si trasferisce dalla fase anteriore all’intercettazione, in cui rileva la direzione impressa all’atto di indagine dall’autorità procedente, a quella posteriore, giacché si impone alle autorità che hanno disposto ed effettuato le captazioni l’obbligo di non aggravare il vulnus alla sfera di riservatezza delle comunicazioni presidenziali, adottando tutte le misure necessarie e utili per impedire la diffusione del contenuto delle intercettazioni.
 
8) Per le intercettazioni involontariamente acquisite, “La soluzione del presente conflitto non può“, quindi, “che fondarsi sull’affermazione dell’obbligo per l’autorità giudiziaria procedente di distruggere, nel più breve tempo, le registrazioni casualmente effettuate di conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica“.
 
9) I PM però non possono, come del resto anche da loro sempre affermato, distruggere le intercettazioni, in quanto questo atto è di competenza del Giudice, “non essendo ammissibile che alla distruzione proceda unilateralmente il pubblico ministero. Tale controllo è garanzia di legalità con riguardo anzitutto alla effettiva riferibilità delle conversazioni intercettate al Capo dello Stato, e quindi, più in generale, quanto alla loro inutilizzabilità, in forza delle norme costituzionali ed ordinarie“. 
 
10) “Lo strumento processuale per giungere a tale risultato, costituzionalmente imposto, non può“, però, “essere quello previsto dagli artt. 268 e 269 cod. proc. pen.,” come sostiene la Procura, “giacché tali norme richiedono la fissazione di un’udienza camerale, con la partecipazione di tutte le parti del giudizio, i cui difensori, secondo quanto prevede il comma 6 del citato art. 268, «hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni», previamente depositati a tale fine”, vanificando così “totalmente e irrimediabilmente la garanzia della riservatezza delle comunicazioni del Presidente della Repubblica.
 
11) “Esiste piuttosto un’altra norma processuale – cioè l’art. 271, comma 3, cod. proc. pen., invocato dal ricorrente – che prevede che il giudice disponga la distruzione della documentazione delle intercettazioni di cui è vietata l’utilizzazione ai sensi dei precedenti commi dello stesso articolo, in particolare e anzitutto perché «eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge», salvo che essa costituisca corpo di reato. Per le ragioni fin qui illustrate, le intercettazioni delle conversazioni del Presidente della Repubblica ricadono in tale ampia previsione, ancorché effettuate in modo occasionale.
  
12) “Ferma restando“, quindi, “la assoluta inutilizzabilità, nel procedimento da cui trae origine il conflitto, delle intercettazioni del Presidente della Repubblica, e, in ogni caso, l’esclusione della procedura camerale “partecipata”, l’Autorità giudiziaria dovrà tenere conto della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica (art. 90 Cost.). In tali estreme ipotesi, la stessa Autorità adotterà le iniziative consentite dall’ordinamento.”
 
Sì, avete letto bene.
Se nel pieno esercizio del suo mandato, il Presidente della Repubblica non può essere sottoposto ad intercettazioni, mai;
nel caso, quindi, di intercettazioni casuali, i PM debbono disporre la loro immediata distruzione inviandole al Giudice;
il Giudice, chiamato a verificare l’effettiva riferibilità delle conversazioni intercettate al Capo dello Stato, deve anche, però, tenere conto della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di interessi riferibili a principi costituzionali supremi: tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica.
 
In altre parole, con un colpo al cerchio, oggi salviamo Napolitano (si deve per la particolare fase politico-istituzionale?), ed uno alla botte, salviamolo ma non la facciamo troppo grossa, la Corte Costituzionale non ha assolutamente scritto che le intercettazioni che casualmente potrebbero captare colloqui del Presidente della Repubblica debbono essere immediatamente, senza alcuna valutazione riguardo ad altri interessi, distrutte.

* coordinatore di www.riforme.info

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