Il gioco dei tre cantoni tra Pd. Pdl e grillini non è mai stato così tanto simile alle situazioni estreme della teoria dei giochi.
Ma non è un gioco. In palio c’è il ridisegno della configurazione politica del paese, nel pieno della crisi economica che si va aggravando, sotto una direzione della Troika tanto ferrea nelle indicazioni quanto incerta e dubbiosa, ormai, sulla loro efficacia.
Il Pd è obbligato a “fare la mossa”, come si sa. E la sua direzione, ieri, ha dovuto approvare senza obiezioni la proposta di Bersani. Nemmeno Renzi se l’è sentita di dissentire pubblicamente, tanto poche sono le strade percorribili; anche se ha voluto marcare la distanza uscendo subito dopo la relazione introduttiva, rinunciando anche ad intervenire nella discussione. E questo è il “nuovista” che dice di sé “io non accoltello alle spalle”…
Bersano ha fatto il suo programmino di governo in otto punti, tutti abbastanza indigesti per Berlusconi e troppo “tiepidi” per scaldare i cuori grillini. Ha preso tempo, insomma, anche per evitare di approfondire la distanza con Napolitano, “governista senza se e senza ma”, con chiunque, purché un governo si formi. Non sarà su questa piattaforma che si aggregherà un eventuale ma improbabile “governissimo” col Pdl, mentre a Grillo e i suoi l’ipotesi di nuove elezioni non può che sembrare foriera di nuovi successi. I primi sondaggi gli concedono altri tre punti percentuali, il che lo renderebbe primo partito e, votando ancora con il “porcellum”, porterebbe 340 deputati alla Camera, anche se resterebbe un Senato senza maggioranza. Insomma, nemmeno nuove elezioni – al momento attuale – scioglierebbero i nodi politici. Aggravando, naturalmente, quelli economici. Perché un “governo locale” – dal punto di vista della Troika – ci deve essere. Le forme, almeno, della democrazia vanno conservate (con rispettate).
Gli otto punti contengono alcuni ammiccamenti verso gli argomenti che affascinano la platea grillina: dimezzamento dei parlamentari, contenimento dei loro emolumenti, cancellazione delle province, universalizzazione dell’indennità di disoccupazione, introduzione di un reddito minimo d’inserimento. Non c’è – e non ci poteva essere – l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Un suo ridimensionamento viene comunque ipotizzato, ma “in connessione con il funzionamento democratico dei partiti”. Un modo di porre il problema della “democrazia interna” sia del Movimento Cinque Stelle che del “partito” berlusconiano.
È un vero peccato che questioni così rilevanti – la democrazia interna a formazioni che appaiono dominate assolutisticamente dai loro leader pubblici – siano poste in modalità così deprimenti. Ci sarebbe materia per fare una seria battaglia delle idee, ma evidentemente non è considerata “remunerativa” sul piano elettorale a breve termine.
Lo stallo resta tale alemo fino a venerdì prossimo, quando apriranno le nuove Camere con l’obiettivo immediato di eleggere i rispettivi presidenti. Lì si comincerà a capire se il lavorio sotterraneo di questi giorni avrà cominciatoa produrre frutti. A Montecitorio, infatti, il Pd può fare ciò che vuole, ma a Palazzo Madama solo un accordo tra due o tre formazioni può produrre un presidente dell’assemblea.
Su quella base – comunque esile – comincerà ad esser letta anche la mini-giostra delle consultazioni per la formazione di un governo. Al momento, le fonti più attendibili restano i siti di scomesse…
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