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Il governo Letta? La nuova “balena bianca”

Il professor Luciano Vasapollo insegna Metodi di Analisi dei Sistemi Economici alla Sapienza-Università di Roma, è anche professore all’Università de La Habana (Cuba) e all’Università Hermanos Saìz Montes de Oca di Pinar del Rio (Cuba). Dirige il centro studi Cestes e le riviste Proteo e Nuestra America. È autore di oltre cinquanta libri, molti dei quali tradotti  in vari paesi d’Europa, dell’America Latina, degli USA, come  “PIIGS il risveglio dei maiali” e “Trattato di economia applicata”.  In questa intervista ha commentato in esclusiva per Oltremedia il neonato governo Letta e la situazione politico-economica in cui versano Italia ed Europa.


 
Il governo Letta si è definitivamente insediato. Rispetto al governo Monti, di cui lei parla nel libro “Il risveglio dei maiali – PIIGS” e nel libro “Se cento giorni di Monti vi sembrano pochi”, c’è continuità o discontinuità?

“Non c’è assolutamente alcuna discontinuità, è la politica che sta imponendo la Banca Centrale Europea. Questo si può notare anche dalle politiche socio-economiche  e dalle scelte operative conseguenti applicate nei mesi appena trascorsi. Di solito, quando un paese è instabile dal punto di vista della governabilità, la speculazione finanziaria lo attacca; ciò è avvenuto con la Spagna, con la Grecia, con l’Irlanda e  il Portogallo. Durante questi due mesi di assenza completa dei governi in Italia, non c’è stato alcun attacco speculativo perché si è determinata una stabilità compatibile voluta e studiata a tavolino: ha continuato a governare l’esecutivo di Monti che ha applicato le politiche finanziarie, monetarie ed economiche di carattere neoliberiste volute dalla Banca Centrale Europea, dalla Troika quindi anche dal Fondo Monetario Internazionale e ovviamente dalla Commissione Europea. Parallelamente a questo si stava delineando il quadro necessario di maggiore stabilità in funzione di tale politica di austerità, che poi significa massacro sociale con un attacco senza precedenti al salario diretto, indiretto e differito. Abbiamo ora  lo stesso Presidente della Repubblica di prima, con una forte attività decisionistica  caratterizzata da  cammino spedito verso la Repubblica presidenziale. C’è questo governo che chiamano delle larghe intese, del pensiero ed azione unica antipopolare, cioè l’ideale condizione politico-governativa del consenso sociale imposto antidemocraticamente per continuare le politiche socio-economiche restrittive di tagli indiscriminati alla spesa sociale da parte della Troika, in particolare verso i lavoratori dell’Europa mediterranea.

A me sembra di essere tornati a 30-40 anni fa: questo è un governo delle politiche care alla vecchia, e nuova, Democrazia Cristiana. Nella migliore delle ipotesi i Berlusconiani di centrodestra sono gli  Andreottiani e i Craxiani di una volta, ma anche nel PD prevale la componente ex democristiana del partito cattolico neoliberista , clientelare ma con apparenti preoccupazioni sociali a cui si finge di dar risposta. La composizione dei sotto-segretari di governo denota un equilibrismo incredibile di andreottiana memoria.

È possibile che si torni a 30-40 anni fa? Sì, è possibile nel momento in cui ci ritroviamo al “ritorno della Balena Bianca”, ossia della Democrazia Cristiana in versione del ventunesimo secolo e in piena crisi sistemica economica e politica ma soprattutto di civiltà. E così noi , i lavoratori tutti, veniamo costretti sulla difensiva e a rivendicare il duro e parziale mantenimento di alcuni diritti che ormai erano assodati e consolidati ed erano stati conquistati con il sangue del movimento operaio, diritti che adesso vengono invece espropriati in maniera violenta senza alcun rispetto delle stesse regole democratiche del confronto degli interessi reali e contrapposti in campo. Gli attacchi sono mirati ad avere sempre più profitto, sempre più rendite e abbassare il costo del lavoro, per accrescere il potere economico della Germania e dei grandi potentati europei, e della vita dei lavoratori e dei loro diritti si fa carta straccia.”

Tra revisione dell’Imu, abolizione dell’aumento dell’Iva, soluzione del problema degli esodati e introduzione di un reddito minimo, le promesse di Letta richiederebbero tra i 10 e i 30 miliardi secondo diverse stime. Da dove verranno presi questi soldi? Soliti tagli alla spesa pubblica, sanità ed istruzione?

“Questo governo apparentemente dovrà far vedere che propone la realizzazione anche di politiche sociali perché la gente non ce la fa più, ormai non c’è speranza di futuro per i giovani; non si parla di precarietà del lavoro, è precarietà della vita. Per non parlare di come vivono gli immigrati nel nostro paese, in condizioni disagiate, di miseria e repressione. Ormai disoccupazione e precarietà sono questioni che toccano drammaticamente persone adulte e non solo i giovani. Si parla di suicidi e di atti di follia, ma la gente non diventa improvvisamente pazza; ci si ritrova a 50 anni con due o tre figli senza sapere cosa dargli da mangiare, come pagare l’affitto o il mutuo della casa, una vita da buttare senza un futuro, perché riproporsi sul mondo del lavoro dopo un licenziamento a quell’età è di una difficoltà incredibile.

I politici hanno paura che la profondissima crisi economica e sociale possa portare ad un antagonismo duro, ad un conflitto forte che coinvolga sempre più ampi settori della società: per questo fanno proposte anche a carattere apparentemente di protezione sociale per tentare di placare la rabbia popolare, si teme la rivolta collettiva e non più il gesto individuale di un disperato.

Si parla allora di reddito garantito, di nuovi ammortizzatori sociali, ma non saranno politiche sociali rivolte al welfare universalistico quanto piuttosto a un “welfare dei miserabili”; è finita la fase del capitalismo moderato e keynesiano, non ci sono più i margini di profittabilità che permettano al capitale una politica seppur minimamente redistributiva.

Una parte misera, più che povera, della società beneficerà di provvedimenti di qualche centinaio di euro. Ma i soldi pubblici delle nostre tasse continueranno ad andare alle banche e alle imprese, non alle politiche per uno Stato sociale allargato. I tagli saranno per l’ennesima volta proprio sul welfare universalistico, quindi su istruzione, scuola, università, sanità, pensioni, edilizia pubblica, ammortizzatori sociali del lavoro ad ampia protezione.

I tagli che vengono e verranno sempre più effettuati riguarderanno la spesa sociale, ma non la spesa pubblica complessiva. La spesa sociale è una parte minima della spessa pubblica; quest’ultima comprende anche le spese militari e tutta una parte di flussi di denaro proveniente dalle nostre tasse e che va a finire al sistema bancario ed al sistema d’impresa in forma di defiscalizzazioni, di incentivi, di voluta e favorita evasione ed elusione fiscale. Il governo dei tecnici di Monti aveva come obiettivo quello della riduzione del deficit e del rapporto debito pubblico/pil, ciò ovviamente per mantenere un livello alto di competitività internazionale della Germania; e per favorire tale ruolo e funzione del capitalismo a guida tedesca, occorre che alcuni paesi si sacrifichino. Questi sono i cosiddetti PIIGS, acronimo che sta per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, ma che vuol dire anche maiali: è questo il nuovo termine offensivo utilizzato per indicare le vittime di un processo di ristrutturazione capitalistico, così come “terroni”  o “mangia terra” erano i lavoratori migranti del  Sud che dovevano garantire  lo sviluppo del “miracolo economico italiano” .

 

È stato tagliato dal governo Monti lo Stato sociale ed il rapporto debito/pil è aumentato: dove vanno a finire i soldi delle nostre tasse e imposte? Vanno con flussi enormi a chi ha determinato questa crisi, cioè al sistema bancario e finanziario. È come se avessimo davanti a noi un boia che ci mette il cappio al collo e invece di combatterlo duramente per imporgli di smetterla lo alimentassimo affinché continui a farlo fino a farci morire impiccati: le banche ci hanno distrutto la capacità di acquisto reale e di vita e lo Stato continua a dare i soldi alla speculazione finanziaria e delle banche e non a redistribuire al lavoro, al lavoro negato per rendere il maltolto a chi la ricchezza sociale davvero l’ha creata con il proprio sangue e sudore. 

Ancora nei prossimi mesi, con la scusa della competitività internazionale continuerà ad andare denaro ai grandi potentati economici, in particolare a quelli del sistema bancario e finanziario. 

Inoltre si delinea una lotta per diminuire il potere salariale d’acquisto dei lavoratori e quindi anche il potere che i lavoratori possono avere nella società: questo perché pensano che un lavoratore costretto alla miseria, alla precarietà, a non avere casa, possa essere meno conflittuale avendo come priorità la sopravvivenza. 

Però qual è il limite di questa politica? Che la gente potrebbe non farcela più. E quindi le reazioni sociali collettive potrebbe andare fuori controllo. 

Ma il movimento dei lavoratori, dei migranti, dei precari deve difendersi e realizzare lotte incisive. Oggi dobbiamo avere il coraggio politico di riproporre lotte avanzate non solo sul terreno della redistribuzione del reddito ma su quello socialmente più incisivo e dirompente della redistribuzione sociale realizzata; per esempio riproporre la riduzione dell’orario di lavoro, la lotta contro la disoccupazione, la lotto contro la precarietà, la lotta per l’edilizia pubblica per permettere ai giovani di avere una casa. Riaffermare con forza i diritti dei soggetti di classe del lavoro e del lavoro negato per una inversione totale dei rapporti di forza nel conflitto capitale-lavoro. ”

Come vede l’introduzione di un reddito minimo garantito e in quale forma pensa sarebbe più efficace introdurlo?

“Ci sono due scuole sul reddito sociale o reddito di cittadinanza, che dir si voglia. Noi come Cestes nel 1995 abbiamo iniziato a studiare e diffondere attraverso convegni e libri, stimolando soprattutto un forte movimento d’opinione e di lotta, una legge di iniziativa popolare da portare in parlamento per la discussione di un reddito sociale. Sono state presentate 63 mila firme a fronte delle 50 mila necessarie: proposta di legge che in 18 anni nessuna commissione né di centrodestra né di centrosinistra ha mai discusso, anche se l’abbiamo riproposta anche attraverso alcuni parlamentari nei primi anni del duemila. 

Noi che abbiamo una mentalità più lavorista, quindi indirizzata alle dinamiche del conflitto capitale-lavoro, diciamo che deve trattarsi di un reddito da intendersi non come vitalizio ma come un reale ed efficace ammortizzatore sociale, cioè non deve evitare l’assunzione, l’avviamento ad un lavoro a pieni diritti e pieno salario, ma intervenire  momentaneamente poiché l’obiettivo della classe degli sfruttati l’abbattimento della precarietà e della disoccupazione. 

Nei periodi in cui sei disoccupato, in cassa integrazione o precario, lo Stato si preoccupa di fornirti ad esempio 1000-1200 euro al mese esentasse, ovvero un minimo stabilito come necessario per vivere dignitosamente. Se sei disoccupato ti fornisce la totalità della somma stabilita; nel momento in cui si dimostri che il reddito da lavoro ad esempio è 400 euro al mese, ti dà gli altri 800. Qualcuno obietta che in questo modo potrebbe approfittarsene chi non ha voglia di lavorare. La nostra proposta infatti prevede che sia necessario dimostrare di essere disoccupati ed in cerca di un posto di lavoro, e se viene proposta un’occasione occupazionale a pieno salario e con pieni diritti bisogna accettarla, pena la decadenza del diritto al reddito sociale; nel tempo in cui percepisci il reddito sociale sei anche obbligato a seguire corsi di formazione che lo Stato e le regioni ti garantiscono per reinserirti nel mondo attivo del lavoro. 

Quelli che parlano di reddito vitalizio o reddito di sussistenza dal momento della nascita fino alla morte non si rendono conto che questa è una proposta totalmente neoliberista,  propria dell’ideologia originaria  Thatcheriana e Reaganiana, portata avanti dagli economisti neoliberisti a guida “scuola dei Chicago boys”: lo Stato ti dà mille euro fin dal giorno in cui nasci e ti lascia sprovvisto di garanzie sociali per tutta la vita. Tutto il resto, il problema dell’istruzione, della sanità, della pensione, te lo devi risolvere da solo, nessun intervento pubblico in tale direzione, sia se sei occupato o disoccupato o che hai un cattivissimo contratto di lavoro precario. Questo tipo di reddito di cittadinanza dalla nascita alla morte, che viene spesso proposto oggi, nasce da una filosofia diversa dalla nostra: è un imbroglio dietro il quale si nasconde un mercato selvaggio in cui gli spiriti animali si sbranano, poiché lo Stato con quel tipo di reddito si scarica di ogni responsabilità con un semplice assegno vitalizio e lascia che le sorti dei cittadini lavoratori siano in mano alle ferree leggi selvagge di mercato .Quindi la proposta diventa di destra, liberista, nel momento in cui lo Stato ti dà una sorta di beneficenza e poi non si occupa più di te, dei tuoi bisogni sociali.

Noi invece, nel difendere e proporre un rafforzamento di un welfare universale, cioè per tutti, inseriamo la proposta del reddito sociale per colmare la carenza di potere d’acquisto con la redistribuzione della ricchezza sociale, recuperando le risorse necessarie a tal fine da una seria lotta all’evasione totale, ad una adeguata ed incisiva tassazione di tutti i capitali, a partire ovviamente dai movimenti internazionali dei capitali speculativi, etc; solo così si possono rafforzare  percorsi di lotta per ottenere un lavoro degno di questo nome a pieni diritti e a pieno salario, in una nuova stagione di protagonismo nelle lotte dei movimenti sindacali di classe, dei soggetti del lavoro e del lavoro negato e del non lavoro, dagli occupati,  ai precari, alla disperazione dei tanti disoccupati e pensionati a basso reddito, ai migranti.”

da Oltremedianews.com
                                                    

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