E’ ancora presto per dire se il nuovo ministro del welfare, Enrico Giovannini, farà impallidire il ricordo incancellabile dei predecessori, Maurizio Sacconi ed Elsa Fornero. Ma si può già affermare che ci proverà.
Rispondendo alle domande dei parlamentari, in un question time che altrimenti sarebbe passato inosservato come gli altri, l’ex presidente dell’Istat ha cominciato ad abbozzare le linee di intervento del suo governo.
Al centro del mirino di nuovo le pensioni. Stavolta, però, non dovrebbe essere nuovamente innalzata l’età pensionabile. Più di così infatti non si può fare. Non per rispetto dei poveri anziani costretti ad andare a lavorare fino a quasi 70 anni, ma per il motivo meno nobile: le imprese non sanno che farsene (a parte qualche mestiere “di concetto”) e vogliono liberarsene.
Quindi bisogna facilitare l’uscita anticipata dal lavoro, ma in modo da risparmiare sui conti Inps. Come? L’idea è il solito ricatto, giocato sull’ovvio desiderio di lasciare per esaurimento delle forze. Puoi andare via prima, ma perdendo una parte – ancora non esattamente quantificata – dell’assegno mensile una volta che sarai in pensione.
La riforma Fornero, in proposito, aveva già introdotto il principio. Le donne, per esempio, possono ancora ritirarsi a 58 anni con 35 di contributi. La penalizzazione è però drammatica, perché in questo caso tutta l’intera carriere verrebbe rivisitata con il “metodo contributivo” (chi ha quell’età, invece, in molti casi rientra nella “riforma Dini”, che salvaguardava il calcolo col “retributivo” per chi aveva 18 anni di contributi del 1995). L’assegno pensionistico, nel migliore dei casi, verrebbe ridotto di oltre il 30%. Di fatto, nessuna lavoratrice scegli di andarsene prima.
Una seconda modalità già esistente è invece quella della decurtazione percentuale per ogni anno in meno rispetto all’età limite (42 e 5 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne). Fin qui il 2% l’anno, che in qualche caso può essere considerato “accettabile” (specie per le retribuzioni – e quindi le pensioni – più alte).
L’idea di Giovannini – par di capire, perché di numeri non ne sono stati fatti – è amplificare al massimo questa possibilità, fino a prevedere il part time obbligatorio per gli anziani in aziende che invece assumono giovani (con contratti di apprendistato).
Una soluzione che sarebbe “geniale” per affrontare il problema degli “esodati”, I quali naturalmente verrebbero così considerati “in uscita volontaria anticipata” e quindi mandati – sì – in pensione, ma con assegni pesantemente decurtati. Insomma: condannati a rimetterci comunque rispetto a quando hanno sottoscritto accordi aziendali o addirittura in sede ministeriale.
Ma il governo intende “risparmiare” anche sulla cassa integrazione “in deroga” (per le categorie d’impresa in cui non esiste l’istituto della cig perché aziende e lavoratori non devono versare i relativi cotributi): i fondi per quest’anno sono stati lasciati a soli 800 milioni, pur sapendo perfettamente che non basteranno, anche perché i licenziamenti e le chiusure aziendali sono in aumento. Ma per il governo è anche un modo di “anticipare” il passaggio a regime dell’Aspi (il “nuovo” assegno di disoccupazione previsto dalla “riforma Fornero” che andrà a sostituire sia la cig in deroga che quella straordinaria, oltre alla “mobilità”; ma per un periodo massimo molto più breve).
Riassumendo: sempre meno ammortizzatori sociali, più miserabili, per meno tempo.
Per quanto riguarda invece le “politiche attive” del lavoro, nella famosa ottica del “favorire le assunzioni”, il sottosegretario Carlo Dell’Aringa (ex presidente dell’Aran contro i lavoratori pubblici e neodeputato – ma che sorpresa! – del Pd) ha già spiegato i dettagli del suo “ritocco” da apportare alla “riforma Fornero” del mercato del lavoro: niente più limitazioni temporali o di causale per i contratti a tempo determinato e per quelli di apprendistato.
Più precarietà per tutti, vedrai come staremo tutti meglio…
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