Questa volta le elezioni a Roma non emozionano. Le piazze dei comizi finali poco frequentate lo confermano.
Era accaduto in passato che la conquista della Capitale da parte del PCI avesse aperto la strada alla logica della “buona amministrazione”. Poi erano tornato i democristiani e il Caf, e poi ancora – dopo Tangentopoli – la sfida tra Rutelli con la minaccia che Fini diventasse il primo sindaco fascista a Roma. Ripetuta quindici anni dopo, la sfida fu vinta dal primo sindaco fascista a Roma – Alemanno – perché Rutelli, Veltroni e il PD riuscirono a perdere una partita che poteva essere vinta al primo turno se il candidato non fosse stato Rutelli. Cinque anni di giunta Alemanno hanno dimostrato cosa può significare avere come sindaco un fascista: finanziamenti e sostegno ai gruppi neofascisti, assunzioni clientelari, città buia, triste e piena di monnezza, inerzia sulle emergenze sociali.
Quindici anni di Veltroni-Rutelli hanno dimostrato cosa può significare il patto con i poteri forti della Capitale: dai costruttori al Vaticano, dalla lobby sionista alla Lega delle Cooperative.
Un disastro in entrambi i casi. Poca o niente edilizia sociale a fronte della costante e rinnovata emergenza abitativa, concessioni miliardarie ai palazzinari e alla speculazione edilizia, aziendalizzazione dei servizi comunali con conseguente riduzione dei servizi, peggioramenti per lavoratori e utenti, aumenti delle tariffe, esternalizzazioni selvagge.
Ma, differentemente da cinque anni fa, oggi anche un grande comune come Roma dispone di meno fondi da spendere, ha debiti da pagare e alimenta aspettative inferiori sia nella popolazione che negli appetiti dei costruttori. Una città che pare seppellita sotto gli 11 milioni di turisti che le piovono addosso in massa ogni anno e che nessuno si sogna di regolamentare perché “portano i soldi”. Si è scoperto poi che i soldi che portano alle casse comunali sono molti meno del previsto e del possibile e che il turismo di massa può diventare una risorsa per pochi e un problema per molti. Soprattutto per i romani espropriati di un bel pezzo della loro città ridotta ormai ad una foresteria.
I poteri forti, con la crisi e i tagli in corso, hanno capito che oggi gli amministratori locali contano meno, anzi poco. Conviene quindi relazionarsi con altri interlocutori, con quelli che muovono le cose e i finanziamenti a livello centrale. Motivo per cui a Roma adesso i palazzinari devono subire la concorrenza delle multinazionali che da tre anni si riuniscono a Roma per il vertice dell’Ibac (International Business Advisory Council). Questa è gente grossa che vuole affari grossi e una Roma che stenta ancora a diventare una “città globale” (come le definisce Saskia Sassen) deve adeguarsi. Non può più essere solo un appaltatrice per palazzinari.
Questa caduta di interessi materiali su Roma, spiega in parte la bassa intensità della campagna elettorale in corso. Un contributo ad abbassare le passioni lo hanno fornito poi i candidati.
Alemanno ha ben compreso di non poter essere un leader nazionale della destra di governo né di quella neofascista che punta sul sociale. Alla prima non ha assicurato un pacchetto di mischia e di voti spendibili (la Regione è andata perduta), alla seconda non può fornire esempi positivi da rivendicare come aspirazioni per i fascisti del terzo millennio. I fascisti si presentano anche questa volta divisi in tre liste (Casa Pound, Forza Nuova, Fiamma Tricolore) ma solo la prima è sembrata voler puntare su un risultato visibile nella Capitale. Che ci riesca appare piuttosto difficile.
Il PD continua a fare tutto da solo per farsi del male. La candidatura piuttosto asfittica di Marino è avvenuta dentro una spaccatura del Pd romano già da mesi. L’opposizione alla ulteriore privatizzazione dell’Acea (la prima fu fatta da Rutelli) non era piaciuta a settori consistenti del quadro dirigente del Pd. Marino gode della protezione del padre-padrone Bettini (anche dal suo esilio dorato in Thailandia) e del sostegno di Sel, ma non entusiasma i militanti né gli elettori. Sarà una fortuna se arriverà al ballottaggio con Alemanno. Che possa vincerlo – a tutt’oggi – è un’incognita che inquieta molti sonni.
I costruttori, così come aveva fatto la grande borghesia del nord con Monti, provano a rappresentarsi in prima persona con uno del loro ambiente: Alfio Marchini. Imprenditore, piacione quanto e più di Rutelli, figlio e nipote di palazzinari, potrebbe essere la vera sorpresa di queste elezioni. I sondaggi lo vedono ancora al palo e lo escludono dal ballottaggio. Ma se al ballottaggio si andrà, i consensi di Marchini potrebbero fare la differenza.
Il Movimento 5 Stelle ha dimostrato che sul piano locale non riesce ad evocare l’immaginario che ne ha visto il successo sul piano nazionale. Il suo candidato De Vito conferma quella immagine di “dilettanti allo sbaraglio” che riescono a mettere in fila solo luoghi comuni e poco più.
La sinistra candida invece a sindaco Sandro Medici. I media hanno cercato in ogni modo di oscurarne la candidatura ed anche i sondaggi non sono incoraggianti. Medici, ex direttore de Il Manifesto, non ha lasciato un gran ricordo di sé quando è stato capolista per la lista Liberare Roma (la lista dei movimenti e del Prc che candidò Renato Nicolini in alternativa a Rutelli nel 1993). Qualcosa di più ha lasciato il suo doppio mandato come presidente del X Municipio (quello di Cinecittà, un territorio popoloso e politicamente vivace). Intorno a Medici si sono coalizzati una lista di movimento (Repubblica Romana) che vede candidati molti compagni e attivisti conosciuti a Roma, il residuo della Federazione della Sinistra (che a Roma, unica in Italia, è riuscita a rimanere unita e si presenta con la sigla “Sinistra per Roma”) e il Partito Pirata.
Centri sociali e movimenti si sono divisi – pare anche bruscamente – sulle elezioni quando Andrea Alzetta (detto Tarzan), uno dei leader di Action e consigliere comunale uscente, ha deciso di candidarsi direttamente con Sel e sostenere Marino piuttosto che Medici.
In precedenza l’aria che tirava era stata più tranquilla: da almeno quattro anni molti convergevano su Zingaretti come candidato sindaco, ma poi quest’ultimo ha lasciato tutti con un palmo di naso candidandosi (e vincendo) alla Regione. Saltato il punto di equilibrio ognuno è andato per conto suo.
Non sono pochi i centri sociali e le reti militanti che hanno invece scelto la strada dell’astensionismo. Astensionismo attivo nel caso della campagna “Votate Nessuno” che ha messo in campo anche alcune iniziative, ultima quella di ieri sui trasporti in occasione dello sciopero dell’Atac da parte dell’Usb. Astensionismo declinato con il “Non ci rappresenta nessuno” nel caso dei movimenti di lotta per il diritto all’abitare, protagonisti di una nuova e massiccia stagione di occupazioni di case nella Capitale.
Queste elezioni appaiono dentro una sorta di vuoto pneumatico sul piano politico. Staremo a vedere se il piano sociale farà la differenza nei prossimi mesi e saprà movimentare quella che oggi appare decisamente come una situazione a “bassa intensità”.
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