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Roma. La stoltezza dello sgombero in via Cardinal Capranica un anno fa

Qualcuno si ricorderà di quella straordinaria fotografia del bambino che sfila davanti agli agenti di polizia con i libri di scuola in braccio recuperati e “salvati” durante lo sgombero.

Era il 15 luglio di un anno fa a Roma e l’occupazione abitativa da parte di decine di famiglie senza casa, sgomberata dalla polizia per ordine del Comune, era quella in via Cardinal Capranica, a Primavalle nel quadrante nord della Capitale. Ieri, a un anno dallo sgombero, movimenti per il diritto all’abitare e Asia-Usb hanno fatto un blitz sotto la sede dell’ANCI, l’associazione dei Comuni, chiedendo l’intervento pubblico sull’emergenza abitativa, riaffermando il diritto alla casa e un piano decennale che preveda un milione di case popolari.

Quello sgombero ha segnato un’epoca, quella di Salvini ministro dell’Interno. Due anni prima era stato lo sgombero dell’occupazione a Piazza Indipendenza a segnare un’altra epoca, quella di Minniti ministro dell’Interno. Ma i punti di contatto tra i due ministri e il contesto in cui hanno operato rimangono rilevanti.

Quella di via Cardinal Capranica era l’occupazione di una scuola abbandonata da tempo. Decine di famiglie senza casa l’avevano occupata durante il ciclo di occupazione che scosse Roma alcuni anni fa ponendo con forza la questione dell’emergenza abitativa e indicando le soluzioni necessarie.

La scuola abbandonata era di proprietà del Comune. Dopo lo sgombero, le famiglie sono state sistemate (e disgregate) in situazioni alloggiative d’emergenza pagate dal Comune e la scuola è di nuovo abbandonata al degrado. Da qui sorge spontanea la domanda?

Ma allora non sarebbe stato più conveniente – oltre che più saggio – non sgomberare la scuola di proprietà del Comune, lasciare le famiglie dove stavano e si erano ormai integrate (con i bambini nelle scuole del quartiere etc.) e quindi risparmiare i soldi del Comune per pagare l’emergenza alloggiativa dopo lo sgombero?

Sappiamo ormai per esperienza, che saggezza e concretezza non abitano i palazzi delle istituzioni. In molti casi è inutile dimostrare – numeri alla mano – che privatizzare i servizi è molto più costoso che gestirli direttamente. Eppure i tecnocrati e i dirigenti ti rispondono che, anche se più onerose, le soluzioni peggiori sono quelle che vanno praticate perché corrispondenti alla loro visione ideologica, che poi è quella ancora dominante.

Torniamo dunque a quello sgombero di un anno fa delle famiglie senza casa che occupavano una scuola abbandonata del Comune.

Dopo lo sgombero il Comune ha trasformato quella scuola pubblica di sua proprietà in un “bene disponibile” cioè acquisibile dai privati, magari per farne un residence, un albergo o quant’altro. Potere al Popolo si oppone a questa scelta con una petizione popolare che da mesi ne rivendica l’esatto contrario cioè mantenere come indisponibile ai privati quel luogo e restituirlo alla città e alle sue esigenze sociali.

Un lungo e ben documentato servizio di Roma Today, ricostruisce bene le informazioni e la dinamica. Ma rammenta a tutti anche il contesto politico di quello sgombero: una sorta di azione esemplare e punitiva da gettare agli occhi dell’opinione pubblica come propaganda e indicatore di un modello di relazioni sociali e soluzione perversa delle emergenze sociali.

Lo sguardo di quel ragazzino con i libri di scuola in mano mentre sfila davanti agli agenti di polizia che l’hanno sgomberato, è un documento politico senza parole scritte, è un atto di accusa scritto sulla pietra.

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