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La poltrona di Alfano spacca il Pd

Qualsiasi cosa accada, il Pd si spacca. È l’unica certezza della “politica” italiana, segno di un’usura e di un’assenza di progetto senza paragoni.

Anche l’incredibile vicenda del caso Shalabayeva, la moglie di un “dissidente” kazako rispedita tra le amorevoli braccia di Nazarbayev insieme alla figlioletta di sei anni, dalla polizia italiana in assetto di guerra ma senza che il ministro – tale Angelino Alfano – si accorgesse di nulla, funziona da detonatore in un ambiente esplosivo già di suo. O forse esploso all’insaputa dei protagonisti.

Com’è noto, il ministro dell’interno si è difeso nel più suicida dei modi, dichiarando di “non essere stato informato” dai suoi sottoposti e bruciando, di fatto, i vertici della polizia pur di salvare se stesso e, di conseguenza, il governo.

Perché è stato un suicida? Se questo fosse un paese costituzionale, ovvero capace di rispettare la Costituzione che s’è liberamente dato, varrebbe anche l’art. 95, che a proposito delle responsabilità dei singoli inistri, recita: “I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri”. Si può obiettare che il ministro dell’interno non possa conoscere ogni singolo atto commesso dagli uomini a sua disposizione, e potremmo persino essere disposti a riconoscerlo. Ma qui non si tratta di una pattuglia che nella notte ha massacrato un ragazzo dopo averlo portato in commissariato, né di un sindacatino di destra che organizza un presidio sotto le finestre dell’ufficio dove lavora la madre dell’ucciso (un vero ministro dell’interno, però, punirebbe in modo esemplare questa gente dopo esserne stato informato; ma quando mai, in Italia); ovvero di espisodi che avvengono alla periferia di uno Stato più ricco di strumenti repressivi che di intelligenza.

Qui si parla di un caso internazionale, gestito direttamente dal suo (del ministro) Capo di Gabinetto, ovvero dall’ufficiale di collegamento tra i vertici della struttura militare e il ministro in persona. Non ci può insomma essere caso più esemplare di responsabilità politica “individuale degli atti dei loro dicasteri”. Altrimenti dovremmo considerare il ruolo di ministro una poltrona onorifica e senza alcun potere, al pari del console del Basutoland in quel di Canicattì.

Le dimissioni – in uno Stato costituzionale – sarebbero state dunque il minimo della pena. Ma Alfano è anche il vice presidente del consiglio (non ridete, c’è scritto così sul sito di Palazzo Chigi), nonché il “garante” personale degli interessi belusconiani nel consiglio dei ministri. Quindi la sua caduta implicherebbe immediatamente la caduta del governo.

Che c’entra il Pd? Beh, una buona parte lo vorrebbe veder dimesso per decenza o per non fare l’ennesima figura di merda con i propri elettori o, anche, perché così si fa prima a portare “the manchurian candidate” – Matteo Renzi – al vertice del partito e/o del governo. Ma, contmporaneamente, non vuole la crisi di governo e le probabilissime elezioni anticipate. Non le vule nemmeno Giorgio Napolitano, che porta la responsabilità maggiore di un governo di “larghe intese” e nessuna possibilità di tenuta.

Cosa ha pensato allora la pallida segreteria di Guglielmo Epifani? Un classico escamotage da vecchio craxiano qual è (non lo sapevate? l’ex Pci ora è guidato da un seguace di Bettino Craxi, così come anche la Cgil; miracoli del “migliorismo” e del dalemismo uniti nella lotta): chiedere ad Alfano “un passo indietro” ome ministro dell’interno, pur restando saldo sulla poltrona di vicepresidente e garante ecc.

La situazione è ulteriormente complicata da Enrico Letta, che da buon democristiano (non ci dite che non sapevate nemmeno questa, quando votavate Pd…) tiene più alla propria polrona che a qualsiasi altra considerazione. Ha coperto completamente Alfano, assumendo insomma anche su di sé la vergogna incommensurabile del “governare senza sapere”. Ha quasi ragione, del resto: questo governo – come il precedente – sta lì per mettere in atto il “programma” deciso da qualcun altro (dalla Troika Bce.Fmi-Ue) e quindi, “tecnicamente”, è composto per intero di gente che non sa cosa avviene sotto i propri piedi. Né gli interessa saperlo.

Letta, di ritorno da Londra, ha riunito la “maggioranza” per il consueto rituale della “verifica”.
In attesa di sapere se la mozione di sfiducia individuale per lo stesso Alfano, presentata da Cinque Stelle e vendoliani, avrà o no la maggioranza (impossibile, visto che al massimo il Pd si spaccherà, ma i montian-casiniani difenderanno fino in fondo “il siciliano” venuto dal nulla), attendiamo con impazienza il prossimo episodio della telenovela estiva: il 30 luglio, cosa deciderà la Cassazione sul processo Mediaset? E soprattutto: come si spaccherà anche in quell’occasione il Pd?

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