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Agosto 1980, un’estate macchiata di sangue

Il 2 Agosto del 1980 una bomba collocata all’interno della stazione ferroviaria di Bologna, in piena mattinata, provocò 85  morti ed oltre 200 di feriti.

L’estate italiana fu macchiata di sangue e di odore acre di morte.
Un’estate particolare – la prima del decennio della grande ristrutturazione capitalistica del sistema/Italia – dopo il lungo ciclo degli anni ’70 che aveva affermato nei posti di lavoro, nei territori e nell’intera società alcuni sacrosanti elementi politici e materiali in materia di salario, diritti e di emancipazione culturale delle classi subalterne.

Parto da un ricordo personale di quella giornata anche per dare il senso della dimensione politica e sociale dell’epoca ai tanti che oggi leggono di quella strage dai media o attingono notizie dalla rete.

Ero, assieme ad alcune centinaia di compagni, a Cerano (Brindisi).

Una spiaggia incontaminata dove si teneva un Campeggio Antinucleare che doveva servire a sensibilizzare la popolazione della zona in quanto quell’area era stata scelta dall’allora Piano Energetico Nazionale come un possibile sito dove istallare una centrale nucleare. In quel momento la forte lobby nuclearista del capitale italiano prevedeva la costruzione di ben sette centrali disseminate sulla penisola.

Eravamo prima dell’incidente di Chernobyl ed all’avvio di un movimento di lotta che, poi, negli anni successivi avrebbe invalidato questo scellerato disegno economico del capitalismo tricolore e delle sue propaggini nucleariste.

Ma veniamo ai ricordi di quella giornata. Alla notizia della strage, nel primo pomeriggio, non ci ponemmo tanti interrogativi e non ci tormentammo con dilemmi di non facile risposta.

Convenimmo, in una breve e tesa assemblea, che chiunque avesse provocato quella strage, che colpiva in forme indiscriminate e selvagge la vita e i corpi di chi transitava in una stazione, era un nostro nemico da smascherare ed avversare in tutte le forme possibili.

In noi era vivo il ricordo della stagione della strategia della tensione. Si palesavano ai nostri occhi le bombe sui treni e nelle piazze, il ruolo dei fascisti utilizzati da padroni, servizi segreti ed americani contro il montare delle proteste popolari e, soprattutto, sapevamo che era in corso una sorta di guerra, a bassa intensità, contro i movimenti di lotta, le organizzazioni della sinistra ossia – utilizzando uno schema classico ed un lessico ortodosso – uno scontro tra rivoluzione e controrivoluzione che percorreva l’Italia ma l’Europa intera ancora divisa dagli accordi post/Yalta e dal Muro di Berlino.

Ci recammo, quindi, ad Ostuni, un paesotto più grande dove era in corso una festa dell’Unità e chiedemmo di intervenire per esprimere il nostro punto di vista verso una interpretazione della strage che, con modalità opacizzanti e mistificatorie, stava forzatamente omologando tutte le forze politiche e gli strumenti di informazione.

Come al solito i dirigenti dell’allora PCI non volevano farci parlare, adducendo ad una nostra presunta caratterizzazione estremistica, e fummo costretti a travolgerli per salire sul palco dove denunciammo con veemenza non solo i caratteri oggettivi della strage della mattina avvenuta a Bologna ma mettemmo in guardia da ciò che dopo, a partire dai giorni successivi, sarebbe puntualmente accaduto.

Si andava profilando e si realizzò una gestione di quegli avvenimenti tutta orientata alla diffusione di una cultura della paura, al rafforzamento autoritario delle istituzioni ed al varo di una legislazione blindata e liberticida che servirà, poi, ad accompagnare i poderosi processi di ristrutturazione che avrebbero cancellato la grande produzione fordista, distrutto ogni opposizione politica e sociale ed aperto la strada alla restaurazione neo/corporativa della società italiana.

Da quella strage che – comunque – segnò una sorta di prima e dopo di una fase della vita politica e sociale italiana iniziò a profilarsi la stagione della modernizzazione capitalistica del paese e l’avvio del lungo e complesso processo di deregolamentazione e svalorizzazione del lavoro.

Per anni attorno alla vicenda della strage di Bologna si sono addensate tesi e contro tesi, si sono confrontate inchieste e palesi tentativi di depistaggio, si sono sperimentate ipotesi accusatorie di ogni tipo ma la verità – quella vera – non è mai emersa nelle aule di un tribunale o nei faldoni delle inchieste.

Certo anche a ridosso della strage di Bologna emergono nomi ed ambienti politici e culturali afferenti alla destra, a settori dei servizi segreti e a circoli politici emanazione della NATO. Questo brodo di coltura è una costante che ritroveremo in ogni tassello della strategia della tensione italiana e in tutti i tentativi di sbarrare con il fuoco e le bombe il poderoso ciclo di lotte che, in quel frangente storico, attraversava la penisola.

Oggi a distanza di decenni, mentre l’incidere di questo scorcio della crisi capitalistica, mette in discussione la nostra vita, gli elementi essenziali della dignità ed attacca, persino, le stesse forme di vita naturali della specie umana ricordare la strage di Bologna, ricordare le vittime provocate e il dolore diffuso serve a sedimentare quell’ingranaggio collettivo che, ancora oggi, sospinge le tensioni materiali e le idealità di milioni di persone.

Le sentenze dei tribunali non ci hanno mai appassionato, le ricostruzioni poliziesche e le veline giornalistiche ancora meno.

Da questo punto di vista il lavoro svolto dall’Associazione Familiari delle Vittime della Strage è stato prezioso, perché svolto in forma controcorrente alla vulgata imperante, ed ha consentito di rintuzzare tutti i tentativi di insabbiamento e cancellazione delle responsabilità di chi ha provocato, coperto e, probabilmente, eseguito quella criminale strage.

A distanza di oltre 30 anni abbiamo voluto ricordare un tassello importante di un episodio che va, comunque, catalogato nella guerra di classe consumata in Italia.

Da tempo ogni volta che passo per la stazione di Bologna non mi sottraggo dal recarmi dove c’è la stele, il buco nel muro e l’elenco dei caduti e, continuando a commuovermi, ripeto, nella mia mente, che quello che urlammo quella sera del 2 Agosto ad Ostuni e quello che i tanti ancora gridarono, qualche giorno, dopo ai funerali delle vittime, zittendo le parole ipocrite di esecrazione delle istituzioni presenti sul palco: Pagherete caro, pagherete tutto!

Una canzone di Claudio Lolli che ricorda quella strage:
http://www.youtube.com/watch?v=z4WMp99WHgc

 

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