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Chi salverà il soldato Letta? L’ascaro Scilipoti

Difficile parlare seriamente di un governo nazionale ridotto ad amministratore locale di politiche decise altrove (Bce, Ue, Fmi, in breve la Troika). Nonostante questo, ci si prova. Però poi accade quello che neppure il Crozza delle gag migliori avrebbe osato immaginare: il saltafossi di ritorno, l’uomo per tutte le stagioni e tutti i sottogoverni, il “professionista” dello sfruttamento dell’utilità marginale del ruolo di parlamentare. Scilipoti, insomma.

E’ noto anche all’ultimo degli abitanti di questo paese che il governo di Letta il Giovane è in ambasce. La condanna definitiva dell’amico fraterno di Letta il Vecchio – Silvio Berlusconi – comporta la decadenza da senatore e l’incandabilità futura del Cavaliere (per soli sei anni, ma l’uomo, diciamolo, è anzianotto; e poi la politica italiana è una palude di sabbie mobili, una volta che sei andato sotto chi ti ripesca più…). Il monarca poco illuminato di Arcore sembra deciso a far cadere il governo se non gli sarà garantita una incostituzionale deroga alla legge (peraltro da lui stesso votata, quella firmata dall’ex ministro della giustizia Severino). E quindi c’è il problema serissimo (si fa per dire) di garantire una nuova maggioranza parlamentare se il Pdl dovesse davvero far mancare i suoi voti.

Per evitare lo stallo di qualche mese fa – visto che il Movimento 5 stelle non mostra proprio di essere disponibile a sostituire i berlusconiani in un governo in cui comunque non vedrebbero accolto quasi nessun punto del loro “programma” – che sarebbe esiziale sia per la “fiducia internazionale nell’Italia” (leggasi: aumento rapidissimo dello spread, quindi degli interessi pagati sui titoli di stato e sui prestiti bancari). E persino per l’andamento borsistico delle aziende berlusconiane (qualcuno l’ha già chiamata la “nemesi del conflitto di interessi”).

Come in tutti i crolli di un sistema, anche le connessioni immonde che hanno fatto la fortuna del berlusconismo diventano ora “cause” della sua rovina, acceleratori di una caduta inarrestabile. Il Cavaliere è finito, e l’unica cosa che può fare è chiedere un salvacondotto minacciando una crisi che finirebbe per travolgere anche il suo impero economico. Naturalmente, sul piano giuridico istituzionale, ha già trovato “attenzione” nell’ala più innominabile della nomenklatura piddina (Violante, non a caso), anche se la soluzione desiderata dal Detenuto – “agibilità politica”, ovvero annullamento pieno della sentenza e dei suoi effetti – appare difficile. A meno dell’ennesima e forse definitiva forzatura costituzionale.

Ed ecco quindi farsi avanti la “necessità oggettiva” di trovare una nutrita pattuaglia di senatori eleti con il Pdl (alla Camera non è quasi necessario, grazie al Pocellum) disponibile a saltare dall’altra parte della barricata. Il discorso retorico è già pronto e sempre uguale: bisogna essere “responsabili”, non far cadere “un governo che sta risollevando il paese” (se qualcuno se n’è accorto ce lo faccia sapere…), sostenerlo comunque.

E chi è più “responsabile” di quello Scilipoti che abbandonò il gruppo di Di Pietro per volare tra le braccia di Berlusconi bisognoso di qualche voto? Eccolo dunque di nuovo qui, pronto a creare una “pattuglie di responsabili”, curiosamente tutti esponenti meridionali del Pdl. Sono già in cinque, “audacissimi” (il Cavaliere è molto più vendiactivo del Pd, ma ormai è un cane che affoga…) e responsabilissimi.

L’ex cossighiano Paolo Naccarato, un altro habituè del salto della quaglia (era sottosegretario con Prodi); il siciliano Salvo Torrisi;il  siciliano Francesco Scoma; l’ex democristiano siciliano Giuseppe Castiglione.

Per sintetizzare: se questi conque sono indicativi di qualcosa, quel qualcosa si chiama “blocco sociale”. Quello che era stato “liberamente interpretato” da Berlusconi nell’ultimo ventennio, ma che ora – anche sotto la pressione della Troika – comincia a sfaldarsi. Quando si taglia la spesa pubblica, infatti, finisce sotto le forbici anche quella clientelare e dei subappalti. E allora “mors tua, vita mea”; nel disperato tentativo di ritagliarsi un “orto” dove poter continuare a fare come prima.

Un’illusione, ma per il momento garantisce un reddito. Mica vorremo chiamare tutto ciò “politica”, no?

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