“Bruciare i camion in Val di Susa mi ha ricordato quando ero un deputato eletto in Calabria, dove era la mafia a fare certe cose”. Lo ha detto il giurista Stefano Rodotà a Otto e mezzo, su La7. “La democrazia non si fa con la violenza – ha aggiunto – basta ricordare le battaglie di Don Ciotti, o della Fiom, hanno vinto davanti ai tribunali”. Incalzato dalla Gruber, Stefano Rodotà ha tenuto a precisare che “il 19 Ottobre non immagino neanche di andarci a Roma”, chiaro il riferimento alla manifestazione indetta dai movimenti di lotta per la casa, il reddito e l’ambiente.
Solo qualche giorno fa Rodotà aveva sorpreso favorevolmente molti – ma si era attirato l’ira di Alfano e del partito trasversale della fermezza – con alcune valutazioni contro la Tav e le strumentalizzazioni messe in campo contro chi si oppone l’opera. Sono passati solo dieci giorni e Rodotà ci tiene a far capire che lui nella manifestazione dove ci sarà anche il movimento No Tav non “immagina neanche di andarci”. Lui in piazza ci andrà una settimana prima con Landini, Don Ciotti e tutti i protagonisti dei casting fissi della sinistra televisiva.
Ma cosa può essere successo in questi dieci giorni? E’ successo che il governo delle larghe intese di Letta e Napolitano ha superato la prova del fuoco e non è più il caso nè il tempo di disturbare il manovratore.
Il prof. Rodotà è un bravo costituzionalista e una persona onesta, ma ogni volta che è cambiato il clima politico si è sempre adeguato. Era già accaduto alla fine degli anni ’70 quando venivano varate le leggi speciali di polizia e i blitz con decine di arresti (e i casi di tortura) si susseguivano con cadenza quasi settimanale. L’assordante silenzio del “garantista” Rodotà in quel periodo è ancora oggi difficile da dimenticare. Ma erano gli anni in cui il PCI era parte integrante del partito della fermezza e dei governi di unità nazionale. Furono altri e pochi i garantisti che alzarono la voce. Qualcuno l’ha pagata con la carriera stroncata, altri videro premiato il loro silenzio.
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