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Imposimato e Moro. La verità incoffessabile

Mi è capitato spesso di scrivere che dietro i cosiddetti “misteri del caso Moro” ci sono sempre due tipi di ragioni: quelle politiche (prevalente per numero di casi e per “potenza di fuoco” mediatica) e quelle “monetarie”. Ma vanno sempre a braccetto, non si separano mai. Nemmeno potrebbero, del resto, perché si possono “far soldi” speculando sul sequestro Moro solo “rispondendo al bisogno” della manipolazione politica.

Il buco nero attraverso cui passano, da sempre, le peggiori speculazioni “affaristiche” su questa storia è la “versione dei fatti” imposta a sinistra dal Pci. Una versione inventata, densa di “misteri”, che è servita – in medias res – a combattere la battaglia “ideale” contro i rivoluzionari degli anni ’70; e subito dopo, dagli anni ’80 fin oltre la caduta del Muro, a legittimare l’ex Pci come plausibile forza di governo.

Non fare seriamente i conti con la Storia produce mostri. Tutto sarebbe stato più semplice e chiaro se, passato il momento più aspro del conflitto, gli eredi dell’ex Pci avessero laicamente preso atto di come le cose erano andate, liberando se stessi, il paese, la memoria collettiva da un tumore maligno che ne impedisce – non da solo, ovviamente – l’evoluzione. In Italia, per quasi un ventennio a partire dal ’68, è stata presente una componente comunista rivoluzionaria capace di mettere in discussione gli equilibri politici del paese. Ne è stata capace sul piano della mobilitazione di massa e delle battaglie di strada, ma anche su quello del conflitto armato. A volte con grande forza e lucidità politica, in altre molto meno.

Si può legittimamente giudicare “negativo” che sia esistita questa componente, ma non si può gudicare nulla onestamente se non si riconosce intanto la realtà delle cose. Una torsione falsificante del reale per giustificare scelte politiche contingenti (il “compromesso storico” scritto nel libro dei sogni piccisti, la “solidarietà nazionale” guidata da Andreotti nel mondo reale), non rimossa subito dopo il breve periodo della sua “utilità bellica”, si è trasformata in un mostro tenebroso in cui chiunque può provare a infilare le mani per trarne un qualche vantaggio: politico o economico, più spesso entrambi.

Un esempio? Diciotto anni di Commissione bicamerale d’inchiesta sul squestro e la morte di Aldo Moro hanno alimentato una vera e propria industria, che ha dato ricchezza e fama ad altrimenti oscuri giornalisti di cronaca nera, parlamentari diventati tali a forza di “scoop” sempre meno clamorosi o credibili, “consulenti” pagati a peso d’oro – per 18 anni! – per dare quel “tocco di mistero” che permetteva di andare avanti, di prolungare il business oltre ogni limite di tollerabilità. Persino la destra, con Fragalà e Guzzanti capifila, trovò ad un certo punto “vantaggioso” sposare le dietrologie ex Pci, rovesciandole ovviamene di segno (banalmente: “dietro” le BR ci sarebbe stato il Kgb sovietico).

Per sintetizzare: se invece di Storia si costruisce una letteratura, allora tutto diventa “possibile”. E scompare ogni criterio di misura, verifica, attendibilità.

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Perdonate la forse troppo lunga premessa, ma suppongo che molti di quelli che approcciano a questa vicenda abbiano bisogno di una “inquadratura” almeno sommaria per orizzontarsi in una foresta di fatti e/o menzogne altrimenti inestricabile.

L’occasione per tornare sul tema viene da una notizia di questi giorni: “Dietro le principali novità del libro «I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia» di Ferdinando Imposimato si nasconde una fonte che per la procura di Roma è un impostore. Di più un calunniatore. Si tratta dell’ex brigadiere della Guardia di finanza in pensione Giovanni Ladu, 57 anni [già in pensione? Chissà che ne pensano i minatori sardi… ndr], cagliaritano di origini ma residente da tempo a Novara, che con l’autore del libro si è spacciato per un ufficiale di Gladio con nome da battaglia Oscar Puddu”.

In pratica: Ferdinando Imposimato ha scritto l’ennesimo libro misteriosofico sul “caso Moro”, contenente una serie di “nuove scoperte” completamente false. L’impostore aveva avuto “la fortuna” di entrare, insieme proprio a Imposimato, nel “covo di via Montalcini”, dove Moro era stato tenuto prigioniero per 55 giorni. Aveva 22 anni, era un militare di leva (allora c’era la “leva obbligatoria” per tutti i cittadini maschi, tra i 18 e 26 anni) ed era capitato lì quasi per sbaglio, forse come “rafforzamento” della scorta istituzionale di cui Imposimato – il pubblico ministero che ha istruito l’inchiesta sul sequestro insieme a Domenico Sica – era normalmente dotato.

Sfiorare la Storia senza essersi guadagnato un ruolo può obnubilare menti anche più addestrate di quella di un giovane militare di leva. Fatto sta che, alle soglie della pensione, quel giovane Giovanni Ladu – poi diventato “militare professionista” – sembra aver deciso di trarre anche lui il suo piccolo “vantaggio” da quella “fortunata coincidenza”. Si inventa almeno tre “notizie-chiave” di cui sarebbe stato testimone o comunque sarebbe venuto a conoscenza: “Gladio [di cui si spacciava membro, ndr] sapeva dov’era il covo delle Br con Moro prigioniero; lo sorvegliava, con tanto di intercettazioni, da un appartamento al piano di sopra; la liberazione di Moro saltò per volontà della regia omicida che si nascondeva dietro le Br, ovvero Francesco Cossiga e Giulio Andreotti”.

Una manna per i “dietrologi di sinistra”, roba da far venire l’acquolina in bocca. Ladu però viene rapidamente sbugiardato dalla Procura di Roma, che aveva riaperto appositamente un filone di indagine.

Che fa allora il Ladu? Si inventa uno pseudonimo – senza troppa fantasia regionale, Oscar Puddu – e tempesta il povero Imposimato con ben 84 mail in cui le “tre rivelazioni” vengono arricchite con ulteriori e succulenti dettagli.

Imposimato, va aggiunto, non era soltanto il pubblico ministero che indagò sul sequestro Moro, ma anche il referente del Pci in quella procura. Successivamente divenne senatore dall’87 al ’92 nelle liste del Pci, per poi lentamente finire in quel dimenticatoio da cui soltanto le ricorrenti “nuove rivelazioni” erano capaci di trarlo fuori. George Romero ne avrebbe potuto trarre ispirazione per il migliore dei suoi capolavori; purtroppo non ne ha mai avuto notizia…

Ovvio, insomma, che le mail del Puddu-Ladu abbiano scoperchiato per l’ennesima volta la tomba e fatto uscir fuori l’ala della notte. Lì veniva scritto quel che da magistrato non era mai riuscito a dimostrare, inchiodato com’era – per legge e controllo procedurale collettivo – al rispetto della “verifica empirica”, del “riscontro”, dell’”onere della prova”.

L’Imposimato-letterato, ormai oltre le porte d’Ercole della senilità, si può prendere libertà che l’Imposimato-inquirente in piena guerra “anti-terrorismo” neppure poteva osare pensare. E scrive «I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia». Quando il libro esce qualcuno deve avergli chiesto: “ma chi cazz’è questo Oscar Puddu?”. Magari qualcuno dalla Guardia di Finanza può avergli addirittura detto: “guardi, senatore, che non abbiamo mai avuto un agente chiamato così”.

A quel punto Imposimato capisce d’esser stato fatto fesso e si rivolge alla magistratura (adoro la Storia, quando spinge l’ironia fino alla cattiveria). Il pm Luca Palamara fa due rapide indagini e scopre che dietro le email ricevute da Imposimato a firma Oscar Puddu c’è in realtà Ladu. Il quale viene naturalmente indagato per calunnia di quanti, bene o male, s’erano occupati istituzionalmente del sequestro Moro (Imposimato compreso, dunque!).

Avrei in mente anche un altro reato ipotizzabile, di cui ora mi sfugge il nome completo ma che dovrebbe iniziare per “circonvenzione…”. I giornalisti si muovono a compassione e scrivono: “Il professor Imposimato ha agito in buona fede e si é fidato delle email di Puddu (che non ha mai visto di persona ed era certo, nonostante il dubbio, che non fosse Ladu) e si è rivolto alla Procura di Roma solo a libro stampato, la scorsa primavera” (da La Stampa).

Diciamola semplice. Un giornalista che pubblichi il contenuto di qualsiasi “confidenza” senza adeguata verifica viene indagato e processato per diffamazione a mezzo stampa o calunnia. Il “prof. Imposimato”, per carità in buonissima fede, non si è preoccupato neppure di verificare se il signor “Oscar Puddu” esistesse. Le sue mail erano miele per le sue orecchie, “verità rivelata” talmente evidente che non richiedeva “l’offesa” del riscontro.

Ma il prof. Imposimato – di cui conservo un ricordo alquanto solido – è stato addirittura il magistrato inquirente che ha firmato i mandati di cattura e il rinvio a giudizio per il sequestro Moro. Ha ascoltato decine di pentiti, scatoloni di dissociati; ha rivoltato – nel fior degli anni e dell’acume intellettivo – la materia fin negli angoli più reconditi. È quindi uno dei pochissimi che avrebbe potuto, se avesse dato retta ai suoi occhi e alla sua intelligenza, ovvero “alle carte” che lui stesso aveva raccolto, metter la parola fine sul sabba dei “misteri” che impedisce l’elaborazione di un pezzo fondamentale della storia di questo paese.

Purtroppo Imposimato era del Pci. Credeva più alle menzogne politiche che facevano – momentaneamente – comodo al suo partito piuttosto che ai propri occhi. Questo, sì, è davvero un mistero.

 

dal blog Tempo Reale

 

 

 

 

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