Undici attivisti No Tav, tra cui Alberto Perino, sono stati condannati a pagare multe dai 400 agli 800 euro per invasione di terreni. Era il tentativo attuato dagli attivisti di ostacolare l’avvio di sondaggi, nel 2010, nella località Traduerivi, alle porte di Susa.
Per Alberto Perino “Le sentenze non si commentano ma si impugnano”, subito il solito can can giornalistico sulle motivazioni della sentenza espresse del GIP Federica Bompieri ”Il ricorso ad atti di violenza alle persone e alle cose finalizzato ad imporre, con la forza, un ‘cambio di rotta’ su un progetto ritenuto (dal governo italianoe dalla stessa Unione Europea) di ‘rilevanza strategica’ e per realizzare il quale molto si è investito a livello nazionale ed europeo in termini di prospettive di sviluppo e di stanziamenti economici, si risolve in un tentativo di delegittimare le procedure decisionali che l’hanno approvato, di minare alla radice la stabilità delle decisioni e la credibilità e l’ autorevolezza, anche in ambito internazionale, delle istituzioni italiane che quelle decisioni hanno concorso ad assumere: si risolve in ultima analisi in un attacco alla legalità democratica della decisione stessa” – e ancora – “Gli atti di violenza alle persone e alle cose posti in essere presso il cantiere, nei confronti delle imprese e delle maestranze costituiscono un chiaro tentativo di piegare le istituzioni del Paese e inoltre concorrono a creare un generale clima di insicurezza perché palesano come vulnerabili anche uomini delle istituzioni; infine, facendo apparire il ‘dissenso’ come fonte di pericolo per l’incolumità personale, inducono al silenzio altre forme di dissenso”. A questo si aggiunge il carico da novanta del procuratore capo Giancarlo Caselli, che non manca, ancora una volta, di esprimere il suo punto di vista: “L’impostazione della Procura ora è consacrata da un giudice terzo che ha valutato gli elementi senza pregiudizio”.
Avevamo seguito alla Gam la giornata dove molti avvocati e magistrati di Giustizia Democratica avevano espresso un parere che si scosta dal giudizio del Gip Bompardi e dal procuratore Caselli, quello che avviene in Val di Susa è un conflitto sociale e politico, quindi il giudizio deve essere politico e affrontato con le attenuanti tipiche dello scontro politico. Quello che avviene in Val di Susa non si può identificare come insurrezione contro lo Stato riconducibile pertanto al terrorismo: in Val di Susa, la gente opera per la salvaguardia del territorio italiano e deve essere tenuto conto del fattore emotivo con cui la popolazione si esprime e agisce; comuni cittadini non si sognerebbero mai di entrare in un fondo altrui sapendo di commettere reato se non avessero chiara la volontà che con il loro comportamento possono salvare quel fondo.
Secondo questo Movimento tutto dovrebbe essere giudicato politicamente secondo la Costituzione, il cui articolo 21 recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La lotta di numerose e diverse popolazioni ha però condotto nel tempo le Costituzioni di singoli Paesi (pensiamo a quelle latinoamericane come in Nicaragua, Ecuador ecc.) a perfezionamenti volti a stabilire un collegamento più vivido e fattuale tra il controllo che la popolazione può e deve esercitare sul potere a quella pratica che dal dissenso volge spesso in fenomeni più o meno prolungati di resistenza. Un assunto che manca alla nostra Costituzione, rimasto scritto ma mai trasformatosi in articolo, e che Giuseppe Dossetti, uno dei padri fondatori della Costituzione della Repubblicana italiana avrebbe voluto inserire: “La resistenza agli atti del potere pubblico, che violino i diritti fondamentali della persona umana, è diritto e dovere di ogni cittadino”. Così attualizzata, anche la nostra Costituzione oggi leggerebbe nella lotta della Val di Susa una ribellione dei territori, che ci si asterrebbe dal liquidare spesso con troppa sufficienza e superficiale pericolosità come terrorismo.
da TG Valsusa
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