Il “Job Act” ipotizzato dal neosegretario del Pd Renzi dovrebbe essere reso pubblico nella seconda metà di gennaio. Al momento è un fiorire di indiscrezioni che non promettono però nulla di buono. Alcuni lo definiscono come un work in progress in continua evoluzione, il cui punto focale sta diventando il “contratto unico”, in apparenza fondato sul lavoro a tempo indeterminato, “con tutele crescenti per tutti i nuovi assunti” secondo gli ispiratori ma con l’abolizione delle tutele previste dall’art.18. I lavoratori vengono assunti con un contratto“aperto”. L’idea di un contratto unico, è l’applicazione delle proposte già avanzate da tempo dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi e da Pietro Ichino. Nel gioco di parole, in cui Renzi sembra imbattibile, si annuncia di voler ricomporre un mercato del lavoro diviso tra chi è tutelato e chi non lo è. Ma dietro un obiettivo encomiabile ci sono le misure concrete che vanno in direzione ostinata e contraria.
Il presupposto infatti non è quello di alzare le tutele per chi non le ha o ne ha pochissime (precari, disoccupati, falsi lavoratori autonomi etc.) ma di abbassarle in modo generalizzato. Per ottenere questo obiettivo si gioca su un delirante e immotivato divario generazionale (che già ha agito dentro il Pd come un bulldozer). Il dualismo nel mercato del lavoro lo si vorrebbe far coincidere con quello tra giovani e meno giovani. Il progetto del Job Act si concentrerà sul tentativo di dare nobilità alla flessibilità, che in Italia si è ben presto rivelata come un precariato selvaggio. L’asse centrale è quella di un contratto unico i cui assi centrali sono le due fasi ossia l’inserimento e la stabilità. La fase di inserimento del contratto unico dura per i primi tre anni di vita del contratto. Superata la fase di inserimento, il contratto unico viene regolato dalla disciplina dei licenziamenti oggi prevista. Cosa significa? Semplicemente che nel contratto non vi è una scadenza. I lavoratori vengono assunti con un contratto“aperto”.
I neo assunti verrebbero così esclusi dall’applicazione dell’articolo 18 per i primi tre anni, durante il quale l’imprenditore non pagherebbe i contributi che sarebbero quindi a carico dello stato. Non troppo dissimile dal contratto di apprendistato, ma con maggiore libertà di licenziamento. Non ci sarà più la cassa integrazione, che verrà sostituita da un sussidio di disoccupazione universale uguale per tutti. Il tutto assieme all’obbligo di frequentare un percorso di formazione per rientrare nel mercato attivo del lavoro. Si tenterà inoltre di estendere le tutele, dalla maternità alla malattia, per i lavoratori flessibili.
L’ altro punto ipotizzato da Renzi riguarda l’ingresso dei sindacati nella gestione delle aziende (come in alcune grandi aziende in Germania). L’idea è di far entrare i rappresentanti dei sindacati nei consigli di amministrazione delle aziende. La Confindustria non appare però entusiasta dell’idea mentre Cgil Cisl Uil- pur con sfumature diverse – sarebbero d’accordo. Il flirt di Renzi con i sindacati si va rafforzando, dopo Landini anche Bonanni sembra sentirsi felicemente irretito dal nuovo segretario del Pd, e non è affatto un buon segnale.
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