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Tra grilli e talpe


Si potrebbe almeno riconoscere al Movimento Cinque Stelle di aver svegliato dal sonno dogmatico qualche coscienza della sinistra. Non si può, infatti, negare quest’effetto post elettorale del risultato grillino. Il PD ammette di non aver capito cosa accadeva nel profondo del paese; errore non da poco. Un discorso a parte merita, invece, il riferimento continuo al fascismo: quello evocato e quello rimproverato. Affrontiamolo in apertura. Che il fascismo non possa tornare nelle forme storiche conosciute e sperimentate è cosa ovvia, che possa invece presentarsi con forme nuove, diverse, attuali la sostanza del fascismo, vale a dire il
«sovversivismo delle classi dirigenti», è altro e più serio problema. Basta semplicemente e pedantescamente spiegare cosa significhi per capirne l’attualità: la classe dominante non esita, nel momento in cui il proprio potere è messo seriamente in discussione, a sconfessare la stessa democrazia borghese rappresentativa.
La lettera di Draghi e Trichet di poco più di un anno fa è lì per ricordarcelo.

Il fascismo evocato dai grillini è il mix terribile d’ideologia del capitale e ideologia dell’attenzione sociale (in un quadro antisindacale) presente nel fascismo degli inizi (il Manifesto di San Sepolcro) e in alcuni passaggi del programma del M5S (di cui ci occuperemo poco più avanti), come anche il nuovismo sprezzante nei confronti della politica tradizionale e dei partiti. Anche il nazismo, d’altra parte, diceva di essere socialista e dalla parte dei lavoratori (Partito Nazional Socialista dei Lavoratori Tedeschi). Mai, però, una prospettiva anticapitalista. In entrambi i casi – in Italia come in Germania – si trattava, al contrario, di un movimento scientificamente diretto contro chi prospettava il superamento del Modo di Produzione Capitalista. La notte dei lunghi coltelli – il 30 giugno del ’34 – assicurando a Hitler il consenso del capitale, ne è la cartina di tornasole.

Per qualificare reazionario qualcosa, deve porsi quindi in opposizione a un movimento progressivo di conquiste: erano, infatti, reazionari i movimenti fascisti europei che andavano contro il movimento e le conquiste del biennio rosso, com’erano stati reazionari tutti i movimenti, dalla vandea in poi, che si erano opposti alla rivoluzione francese. Senza rivoluzione o senza riforme non c’è dunque reazione, salvo che non si voglia cedere alla tentazione ideologica e modaiola di qualificare riforma ogni cambiamento, quindi anche quella sulle pensioni, sullo stato sociale, sulla scuola, sull’articolo diciotto e così via. Ma il cambiamento non è mai neutro, esso esprime sempre un verso e una direzione. Il progresso si ha nel momento in cui un cambiamento esprime il verso e la direzione di una tappa successiva nella democratizzazione. Niente paura: non sembra aderire al senso odierno di riforma. E, allora, reazione rispetto a cosa?

Sbagliare l’analisi può portarci a un secondo fronte: dopo quello contro Berlusconi, adesso quello contro Grillo. Già il primo era fuori luogo (alla lunga e in mancanza di un’adeguata analisi di classe). Questo, così, il fascismo evocato: dove un ampio margine di responsabilità soggettiva del M5S consiste nell’aver alimentato ad arte lo stesso clima di confusione in cui i diciannovisti pescarono a piene mani. Un’altra precauzione – diciamo metodologica – è quella, invece, di non basare una comparazione politica esclusivamente sul piano delle frasi o delle espressioni pronunciate: questo ha scritto, questo ha detto. Non è sufficiente, in altre parole, la comparazione decontestualizzata tra le argomentazioni: roba da frigidi accademici statunitensi che, non a caso, eliminano la storia, i processi reali. Al fondo di tutto, in questo modo, ci sarebbero solo interpretazioni. Esiste, invece, la materialità delle cose e dei processi.

Il fascismo rimproverato oggi a Grillo e al suo movimento, invece, dimentica che l’antifascismo va praticato 365 giorni l’anno e a 360 gradi: contro il Centrodestra e il Centrosinistra dei revisionisti e dei tecnici. Se è strumentalmente agitato per attirare l’attenzione dell’Unione Europea, si ricordi quali giudizi stanno emergendo adesso nella UE sull’attuale situazione italiana e quanta ragione ebbero i comunisti italiani quando, davanti al fascismo vero e alla scelta aventiniana, spiegarono come Churchill preferisse Mussolini alla vittoria socialista e comunista. Senza illusioni sull’Europa di ieri e di oggi, iniziamo semmai a valutare il cui prodest di tutto questo. Un’Italia così – come da più parti sottolineato – sembra, infatti, far gola a parecchi nella gerarchia della nuova Europa. Ecco, allora, il sovversivismo di cui prima. Non è recentemente durato quasi due anni il Belgio senza un governo dove, dunque, l’Unione Europea poteva applicare le proprie direttive senza che nessuno, sul suolo nazionale, se ne accollasse parte di responsabilità? L’Italia, per peso politico ed economico, non è il Belgio ma i precedenti contano.

Sgomberiamo subito il campo da un altro possibile equivoco: sostenere che il risultato elettorale raggiunto dal M5S abbia contribuito a mettere il Re nudo non vuol dire condividerne i contenuti portati avanti (anzi tutt’altro). Aggiungiamo, per ultimo ma con malizia, un altro effetto ex post: la riabilitazione dell’agire politico.

Mettiamo – allora – ordine e proviamo a riflettere, da comunisti e da marxisti, sulla realtà effettuale. Denunciare la mancanza di contenuti di classe all’interno della composizione sociale del M5S e della conseguente rivendicazione politica, non può corrispondere alla negazione del suo carattere popolare che, ovviamente, non si traduce (né immediatamentemediatamente dato il contenitore) in una piattaforma di sinistra o progressista. D’altra parte il blocco sociale di riferimento dei comunisti è un blocco popolare dove, però, le avanguardie consapevoli della classe stanno in una posizione dirigente.

Alla fine degli anni Ottanta, un ormai consunto PCI, sulla scia del britannico shadow cabinet, mise all’opera un governo ombra. Come andò a finire è tutta un’altra storia (ma è stata veramente tutt’altra storia se pensiamo al PD di oggi e che l’allora ministro ombra degli esteri era Giorgio Napolitano, vale a dire l’attuale Presidente della Repubblica dogmaticamente europeista e regista in tal senso di tutte le ultime manovre istituzionali e politiche del paese?). Proviamo a immaginare, a ogni modo, un nostro programma ombra e compariamolo, in un quadro sinottico, col programma del M5S o sovrapponiamolo per far emergere e, dunque, rilevare in filigrana le differenze principali. D’altra parte, dalla talpa di Shakespeare, di Hegel e di Marx è lecito attendersi anche questo lavoro.  

La prima impressione, dopo aver letto il programma (che è facilmente consultabile nel web) e raffrontato col nostro ipotetico punto di vista sulle cose, può essere condensata nella nota espressione, tanto rumore per nulla. A volte generico, a volte banale ma, soprattutto, per nulla esclusivo. Si va, nel rapporto tra Stato e cittadini, dall’abolizione delle province a quella dei rimborsi elettorali o all’accorpamento dei comuni sotto i 5000 abitanti: né più né meno della retorica contro gli sprechi che – guarda caso – anche qui riguarderebbero il pubblico. Facciamo notare che anche questi semplici tre passaggi significano meno democrazia, non più democrazia. Come la riduzione del numero dei parlamentari che tanto piace.

Il capitolo sull’energia, invece, riprende tutti i temi classici della cosiddetta green economy ma senza nessun riferimento all’assoluta novità costituita dalla crisi sistemica del MPC in cui il problema energetico è irrisolvibile e ingestibile senza ricorrere a nuove forme di pianificazione. Altro che mano invisibile del mercato!

Per quanto riguarda l’economia, la sorpresa è – se possibile – ancora più grande. Dov’è il pericolo che tutti temono (o altri auspicano)? Quanto tradizionale buon senso, al contrario; un approccio quasi ragionieristico. Ma, come sappiamo, ai ragionieri non si chiede di cambiare il mondo. Al massimo di far quadrare un bilancio complicato. Ancora: leggendo tutti i punti del capitolo sull’economia si ha l’impressione che il diavolo sia identificato con la finanza e, in questo modo, il capitale è assolto dall’accusa di sfruttamento (non se ne parla neanche alla lontana). Un programma di un movimento nuovo che nasce in una congiuntura storica molto particolare, quella della più grande crisi del capitale, non può sorvolare così allegramente su alcuni snodi. L’introduzione del sussidio di disoccupazione, in mancanza di un quadro in movimento di lotte, appare più l’elargizione di un contentino sociale o lo stimolo al consumo che non la legittima rivendicazione di un diritto all’interno di un generale piano delle vertenze.

La sua forza e, dunque, anche il carico di timori (o di aspettative) sta altrove. È lo spazio elettorale e, quindi, potenzialmente anche politico che il M5S ha dimostrato esistere indipendentemente dal Centro Destra e dal Centro Sinistra e, in buona parte, anche contro entrambi. Anche per noi questa è una buona notizia. Sono queste le truppe di Beppe Grillo ed è questa rivendicazione di una parziale autonomia della sfera politica che può insospettire l’UE tutta rivolta a porre l’accento, invece, sull’univocità delle scelte politiche. Questo ideologico migliore dei mondi possibili non è messo in discussione dalla rivendicazione politica del M5S ma dalla sua forza elettorale; da uno spazio, cioè, che può essere aggredito anche da altri e diretto in maniera conflittuale.

Se è un’indicazione seguiamola. Ben scavato ancora una volta vecchia talpa.

 

 

 

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