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Stefano Benni e i No Tav prigionieri

Come Erri De Luca, anche Stefano Benni riconosce nella resistenza No Tav un segnale di consapevolezza in mezzo a un deserto di indifferenza, schiacciato dagli interessi economici e la resa alla pura pulsione di sopravvivenza. Una lettera splendida a Mattia, detenuto e accusato – con vivo sprezzo del ridicolo – di “terrorismo”.

C’è da chiedersi perché mai, tra gli intellettuali, soltanto gli scrittori trovino il coraggio di far sentire la propria voce. Forse perché gli altri hanno smesso di pensare “crtica-mente”?

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Per Mattia

da tua madre vengo a sapere del tuo momento difficile. Non ti conosco. Ma ho avuto la tua età e mi sono ribellato, e ho provato rabbia e ho conosciuto, anche se per breve tempo, la prigione militare. Non ho nessuna lezione da darti, se non questa: quando ero chiuso in caserma, leggevo, parlavo con i miei compagni, scrivevo. Tutto, pur di non sprecare il mio tempo, pur di non darla vinta a chi mi aveva privato della libertà. E ci sono riuscito.

Non conosco la tua storia, immagino sia quella di molti giovani che vivono in questo paese apparentemente senza anima e senza speranza. Mio figlio ha scelto di lavorare all’estero, nelle emergenze umanitarie. Tu hai scelto di batterti per le cose in cui credi. Finché ci saranno giovani come voi, anche se diversi nelle idee e nelle forme di lotta, mi viene da pensare che questo paese abbia ancora un pezzo di anima e un respiro di speranza. A volte si è più liberi dietro un muro, che in un deserto di indifferenza. Tieni duro

Stefano Benni

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