In teoria uno dovrebbe appartenere al campo progressista e l’altro a quello conservatore, ma la differenza non la noterebbero neanche agli esperti dei giochi sulla Settimana Enigmistica. Al contrario la vista di Renzi in Gran Bretagna e il cordialissimo incontro con il premier conservatore Cameron, confermano pienamente quanto avevamo anticipato sulla natura del progetto e del personaggio che oggi guida l’esecutivo italiano. Contenuti e stile di Renzi sono esattamente quelli dei leader anglosassoni, siano essi laburisti o conservatori, democratici o repubblicani. Lo schermo del pragmatismo vorrebbe solo occultare la sostanza reazionaria, antipopolare e autoritaria del loro progetto.
Al termine del colloquio con il premier britannico Cameron, parlando dei problemi del lavoro Renzi ha affermato che “Noi abbiamo un sistema che manca di flessibilità” Renzi è così tornato sui dati relativi al boom della disoccupazione e sulla necessità di nuove regole per il mercato del lavoro. Ma poi si è contraddetto affermando che “questi anni hanno visto crescere la disoccupazione nonostante che le regole fatte avrebbero dovuto migliorare il quadro. La ricetta di questi anni è stata sbagliata”. Dov’è la contraddizione? E’ nel fatto che in questi quindici anni – dal pacchetto Treu del ’97 alla Legge 30 del 2003 – tutti le controriforme del mercato del lavoro hanno esteso enormemente proprio la “flessibilità” fino a coniugarla perfettamente con la precarietà, ma i risultati in termini di occupazione e disoccupazione non si sono rivelati positivi ma, al contrario, negativi.
L’affinità elettiva tra Renzi e Cameron emersa dalla visita di due giorni di Renzi a Londra ha, confermato la stretta intesa fra il capo del governo conservatore inglese e quello “democratico” italiano. Riforme in chiave liberale dell’Unione Europea, per tagliare lacci e lacciuoli che la frenano. Peana al “demone della crescita” (ormai antitesi dello sviluppo) come panacea per ridare slancio alla dinamica economica con particolare riguardo al mercato unico ancora da completare e condivisione dell’approccio anglosassone alla crescita sembrano essere la visione condivisa di Matteo Renzi con l’oligarchia politica liberista. Le modifiche da chiedere all’Unione Europea q qusto punto sembrano quindi più in sintonia con quelle anglosassoni che con quelle di chi invoca una sorta di patto sociale europeo da affiancare alle rigidità del Fiscal Compact per mitigarne le conseguenze recessivi e antisociali.
“Non c’è Europa, non c’è una grande Europa senza Londra”, ha detto Renzi cercando di gettare un salvagente a David Cameron che proprio sull’adesione all’Unione Europea si gioca una partita rilevante. Ad esempio c’è la decisione di indire un referendum sull’adesione all’Unione europea da svolgersi entro il 2017 annunciata dal premier britannico un paio d’anni fa, il che “costringe Londra ad inseguire i partner dell’Ue chiedendo una revisione dei trattati che possa rafforzare l’autonomia britannica nell’Unione e metterla al riparo dalla fuga in avanti dell’eurozona” commenta il Sole 24 Ore. Renzi ha però evitato di accennare alla riforma dei Trattati, cosa che costringerebbero l’Ue ad indire referendum in molti Paesi dove le eventuali modifiche andrebbero sottoposte al giudizio popolare, uno spettro che l’oligarchia europea teme ormai come la peste.
Chi in questi anni ha denunciato l’esistenza di “due fazioni del partito unico” non può che trovare conferma dall’incontro tra Renzi e Cameron, con una sola differenza: il partito unico e le sue due fazioni oggi hanno una dimensione europea e non solo nazionale.
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