Molto tardivamente, ma meglio tardi che mai. Confindustria si è accorta che il Tav Torino-Lione è alquanto esposto alle infiltrazioni di “imprese” che fanno capo alla mafia e più probabilmente alla ‘ndrangheta. Ma c’è voluta l’ostinazione di una singola deputate del Moviemnto 5 Stelle – evidentemente supportata dalle inchieste condotte dal movimento No Tav – per mettere anche la Commissione Antimafia del Parlamento italiano di fronte a uno scenario disperante.
Fabiana Dadone ha posto tutte le domande che andavano fatte, ma non ha ricevuto nemmeno mezza risposta esauriente. Non dall’arrtchitetto Virano – “commissario governativo” per il Tav – non dal senatore Stefano Esposito (e figuriamoci…), ma neanche dal giudice Giancarlo Caselli, che si è prudentemente limitato al compitino (“ho avvertito chi di dovere”), per esser sicuro di non disturbare le grandi manovre e gli ancor più grandi affari privatissimi dietro la “mecessità” del Tav.
Alcune cose escono comunque fuori chiaramente. I costi dell’opera sono a carico della spesa pubblica, in primo luogo italiana (non c’è traccia di imprenditori privati che investano un euro; li prendono soltanto), poi europea (quindi, pro quota, ancora dell’Italia) e francese. Il ritorno fiscale, invece, andrà a vantaggio dello stato francese (vist che l’ancora inesistente “ente aggiudicatore” avrà sede a Chambery). In pratica: qui in Italia c’è la sede operativa, quella che sceglie chi dovrà compiere le varie fasi dell’opera; in Francia quella legale (che pagherà le tasse a Parigi). Il quadro giuridico sarà egualmente francese, con tutte le manchevolezze del caso in materia di legislazione antimafia (che in Francia non ha mai avuto dimensioni e spazi pubblici tali da giustificare un particolare allarme e la conseguente legislazione apposita). In queste pieghe, dunque, posssono e potranno infilarsi in tanti. Ma la circostanza non preoccupa i paladini del Tav “costi quel che costi”. E soprattutto se “i costi” ricadono sulle nostre tasche mentre i guadagni arrichiranno chi concede gli appalti e chi se li prende.
Per fare questo regalo alle cosche, il governo italiano… usa la polizia, in modo da tener lontanti i “veri nemici”. I No Tav e gli abitanti della valle. Un capolavoro d’infamia.
L’articolo de IlSole24Ore, “finalmente allarmato”.
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Le falle legislative antimafia risvegliano gli appetiti delle cosche lungo la Tav
di Roberto Galullo
Sperava di raccogliere certezze ma ha portato a casa solo mezze rassicurazioni e un’alzata di spalle. Prima di lei, a sollevare lo stesso allarme e a raccogliere anche lui poche certezze, era stato l’architetto Mario Virano, commissario di Governo per l’opera ferroviaria e presidente dell’Osservatorio Torino-Lione.
Eppure la domanda che ha più volte (ri)proposto Fabiana Dadone, deputata del M5S che siede in Commissione parlamentare antimafia, è di quelle che non devono e non possono lasciare margini di incertezza: nella sezione transfrontaliera della linea ferroviaria Torino-Lione si applica o meno la normativa antimafia italiana?
La questione non è di lana caprina, visto che i costi della sezione transfrontaliera sono valutati in circa 8,5 miliardi di cui il 60% a carico di Italia e Francia (a loro volta nella misura del 57,9% e del 42,1%) e il 40% a carico della Ue (Fonte: dossier del 30 luglio 2013 della Camera dei deputati).
La sezione transfrontaliera si estende da Saint-Jean-de-Maurienne in Francia a Susa-Bussoleno in Italia. Sul versante piemontese l’estensione è di 18,1 km di cui 12,5 nel tunnel di base. La parte in superficie nella Piana di Susa è di 2,6 km e la connessione alla linea storica di Bussoleno è di 3 km, di cui 2,1 in galleria.
Ce n’è abbastanza per scatenare gli appetiti delle mafie e per cercare, dunque, di capire appieno la valenza degli articoli 6 e 10 dell’accordo stipulato il 30 gennaio 2012 tra il Governo italiano e quello francese per la realizzazione e l’esercizio della nuova linea ferroviaria.
L’articolo 6 dispone che il promotore pubblico (vale a dire l’ente aggiudicatore che ancora, di fatto, non c’è e che prenderà il posto della società Ltf) avrà sede legale a Chambéry (Francia) mentre la direzione operativa sarà a Torino. L’articolo 10 precisa che l’esecuzione dei contratti relativi alla realizzazione dell’opera conclusi dal promotore pubblico sono disciplinati dal diritto pubblico francese, «tenuto conto dell’unità fisica e funzionale della sezione transfrontaliera del progetto».
Senza addentrarsi in dilemmi ancora più grandi e spinose – la presunta cessione di sovranità o il fatto che il promotore è soggetto al Fisco francese – i quesiti appaiono tanto più significativi all’indomani del giorno in cui il Senato ha esaminato e approvato con 173 voti favorevoli, 50 contrari e 4 astenuti l’accordo tra i due Paesi, (la Camera l’aveva approvato il 12 novembre 2013) e nonostante le rassicurazioni della società Ltf (si veda l’altro articolo).
I quesiti in Aula e in Commissione antimafia
Il 22 ottobre 2013, in Commissione Lavori pubblici della Camera, intervenne l’allora sottosegretario alle Infrastrutture e ai trasporti Erasmo De Angelis per rispondere e tentare di portare chiarezza. Dopo avere detto che l’opera rientra nella legge Obiettivo e che lo Stato italiano ci mette soldi, comitati di vigilanza, di coordinamento e gruppi interforze, tagliò corto affermando che «si può affermare con forza che le disposizioni nazionali finalizzate alla lotta alla criminalità organizzata trovano in ogni caso applicazione nell’ambito della realizzazione dell’opera in territorio italiano».
Non una parola, però, sul presunto conflitto legislativo, tanto che la risposta e le numerose eccezioni al richiamato principio della territorialità risuonarono, appena due mesi dopo, il 19 dicembre 2013, in Commissione parlamentare antimafia, nel corso dell’audizione di Giancarlo Caselli, ancora per pochi giorni capo della Procura di Torino. La sua risposta sull’applicazione o meno della normativa antimafia fu secca: «Conosco la problematica perché alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle, ai quali siamo grati ci hanno sottoposto questi problemi e presentato della documentazione ma a quel punto ci siamo fermati e abbiamo segnalato a chi di dovere questo problema, che è un problema di carattere legislativo, riguarda accordi internazionali. Se qualcosa c’è da fare e non posso saperlo perché non è la mia competenza, quello è un ambito di competenza non mio, ma altrui, in cui si dovrà eventualmente intervenire».
Palla al centro, mentre almeno si scopre, grazie alla risposta di Caselli al commissario antimafia Stefano Esposito, senatore Pd pro Tav, che la prefettura di Torino, a fine 2013, aveva svolto 300 istruttorie antimafia, tutte con esito negativo sul rischio infiltrazioni.
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