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Merkel spiata dal 2002, il Datagate cresce di giorno in giorno

Il Datagate ha smesso di essere una “curiosità” stravagante, una conferma di qualche sempiterna teoria del complotto, e si trasforma in un casus belli internazionale.

 

Il motivo fondamentale non riguarda più, infatti, le informazioni raccolte dall’ex contractor della Nsa, Edward Snowden, e diffuse un po’ alla vota dal Guardian. Ora è direttamente la Germania ad accusare gli Stati Uniti di aver spiato – tra i 35 leader mondiali – il proprio premier Angela Merkel fin dal 2002.

 

Ed è chiaro anche che non si tratta più di “invasione della privacy” di cittadini europei più o meno importanti con la scusa della “protezione dal terrorismo”, ma di un controllo della politica globale (accoppiata a uno spionaggio industriale su scala planetaria) che svuota di autonomia decisionale qualsiasi paese. Di qualsiasi dimensione e potenza sia, qualunque tipo di rapporto intrattenga con gli Stati Uniti.

 

Proviamo a fare del giornalismo “all’inglese”, separando i fatti dalle opinioni. E i fatti, la mattina del 27 ottobre 2013, dicono:

 

Nel 2010 gli Stati Uniti possedevano circa 80 centri di spionaggio in Europa, comuni a Cia e Nsa, di
cui uno a Roma. Lo scrive Der Spiegel online, basandosi su documenti di Edward Snowden, la ‘talpa’ del Datagate.

 

La cancelliera tedesca Angela Merkel fu spiata dalla Nsa dal 2002 e fino a poco prima del suo incontro con il presidente Usa Barack Obama nel giugno scorso. Secondo il giornale, che cita documenti segreti della Nsa, lo spionaggio delle conversazioni della cancelliera avveniva dall’ambasciata americana a Berlino, sulla Pariser Platz. Per Spiegel, il suo nome (indicato come ‘GE Cancelliera Merkel’) compare in una lista di obiettivi del Dipartimento S2C32 ‘Ufficio Unione Europea’, lista ancora valida poco prima della visita di Obama in Germania nel giugno 2013. Il documento non chiarisce quale tipo di dati sia stato raccolto dagli americani, e se tutte le telefonate o solo alcune siano state ascoltate. Né se il controllo sia effettivamente terminato a quella data. Stiamo parlando della quarta economia mondiale, del paese più importante dell’Unione Europea e del partner-chiave nelle relazioni euro-atlantiche dal 1945 in poi (calcolando la Gran Bretagna come una “provincia” statunitense ormeggiata al largo del Vecchio Continente).

 

La conferma clamorosa di questa posizione servile è arrivata nel Consiglio Europeo riunitosi in questi ultimi due giorni, in cui David Cameron è rimasto praticamente in silenzio sotto l’assedio degli altri leader che lo considerano apertamente – a questo punto – un semplice “orecchio” Usa all’interno delle istituzioni continentali. Isolamento che lo stesso Cameron ha stupidamente anticipato definendo le rivelazioni di Snowden (su uno dei principali quotidiani inglesi, fra l’altro) come “un danno” per gli interessi occidentali invece che come la prova di un’ingerenza intollerabile nei confronti di quelli che sono, nel bene e nel male, i più fedeli alleati degli Stati Uniti.

 

I lavori del Consiglio Europeo che è stato quasi monopolizzato dagli sviluppi del caso Datagate: i leader hanno firmato una dichiarazione congiunta che suona come monito agli Stati Uniti: “Una mancanza di fiducia potrebbe pregiudicare la necessaria cooperazione nel campo della raccolta di intelligence’, ritenuto ‘elemento vitale per la lotta al terrorismo”. I 28 chiedono tutti spiegazioni a Washington, Parigi e Berlino chiedono entro l’anno agli Usa un “codice” dello spionaggio. Al testo, dopo un’imbarazzata resistenza, si è aggiunta alla fine anche la firma della Gran Bretagna. Ma Cameron si è impuntato per cercare comunque uno “scambio”, pretendendo l’accelerazione del pacchetto legislativo per la “protezione dati” europea che, previsto ad aprile 2014, slitta invece al 2015.

 

Lo spionaggio statunitense (e inglese, visto che anche la Gran Bretagna risulta al fianco degli Stati Uniti nell’opera di intercettazione globale) secondo lui “salva la gente dal terrorismo”, mentre quello che fanno “Snowden e i media che lo aiutano non rende il mondo più sicuro”. Di più: i servizi di intelligence “sono guidati correttamente” e che hanno permesso di evitare attacchi in Gran Bretagna e altri paesi perché “abbiamo condiviso informazioni”. Difficile non considerare il premier inglese la longa manus di interessi diversi da quelli “europei”.

 

Al secondo posto tra i cagnolini più fedeli si colloca naturalmente il vicepresidente del consiglio italiano, Enrico Letta (il premier è a tutti gli effetti pratici Giorgio Napolitano). Il quale ha democristianamente affiancato i partner continentali nel prendere una posizione indignata (“Non sono concepibili zone d’ombra tra alleati, quali siamo”) e si è sforzato di rassicurare gli Usa sul fatto che questo “incidente”, in fondo, non cambierà di una virgola i rapporti tra i due paesi.

 

Perciò ha schierato l’Italia al finaco dell’iniziativa franco tedesca sulla necessità di chiarimenti sul Datagate ,alla quale l’Italia “si associa completamente”. Ma ha contemporaneamente sposato la posizione inglese (“Penso che quella di Edward Snowden, la ‘talpa’ del datagate, non è un’attività utile e positiva, anzi crea molti problemi e non ha gli effetti positivi di trasparenza che lui si prefigge”.

 

Per essere prprio chiaro di non considerare il caso un vero “problema”, e tantomeno un “vulnus” nelle relazioni euro-atlantiche, Letta ha poi sottolineato di non sapere se rientra tra i leader spiati. Mancava solo che aggiungesse “e non mi interessa saperlo”.

 

Del resto è benfiancheggiato da ministro degli esteri, Emma Bonino, volto storico di quel Partito Radicale nato per volontà della Cia ai tempi di Randolfo Pacciardi (ex segretario del Partito Repubblicano). “Dalle informazioni che abbiamo non risulta un coinvolgimento italiano”, afferma senza curare affatto altre rivelazioni giornalistiche (L’Espresso) sulla fattiva collaborazione dei servizi italiani con quelli Usa in tutta questa vicenda. “Questo è quello che ci risulta, non so cosa emergerà da altre informazioni”, ha aggiunto. Il ministro ha quindi confermato che il tema è stato toccato con il segretario di Stato Usa John Kerry, durante la sua visita a Roma. Kerry “riconosce il problema e ha riferito che il presidente Obama è determinato ad affrontarlo, senza tuttavia entrare in dettagli”. E come si fa a dubitare che gli yankee dicano sempre la verità?

 

Diversa la reazione degli altri big europei, che comunque – al di là della dichiarazione comune – continuano ad andare in ordine sparso, visto il peso delle invidiuali relazioni con gli Usa.

 

“Abbiamo detto che Francia e Germania e non come Francia più Germania, ma ogni paese individualmente, si metta in contatto con gli Usa per accordarsi su un quadro di futura cooperazione” in materia di intelligence. Così la cancelliera tedesca Angela Merkel, che chiede un accordo con gli Usa “chiaro e in linea con lo spirito da alleati”.

 

Intanto, all’Onu, Germania e Brasile si ritrovano uniti contro gli Usa. I due paesi, che accusano Washington di averli spiati, si sono uniti in uno sforzo congiunto per far approvare dall’Assemblea Generale una risoluzione che promuova i diritti della privacy su internet. L’obiettivo, scrive Foreign Policy citando fonti diplomatiche, è di fermare le intrusioni della Nsa nelle comunicazioni di stranieri.

 

Persino il premier spagnolo, l’ex franchista Mariano Rajoy, ha dato istruzioni di convocare l’ambasciatore degli Stati Uniti in Spagna, James Costos, perché dia spiegazioni sullo spionaggio di massa da parte della NSA statunitense delle comunicazioni del governo iberico. Naturalmente non per dichiarare guerra: Rajoy ha assicurato che il suo governo “non ha al momento conferma” del fatto che gli Stati Uniti abbiano spiato comunicazioni di cittadini o politici spagnoli. Ma che, per “ottenere informazioni” al riguardo, ha “dato istruzioni” al ministro degli esteri, José Garcia Margallo, di convocare l’ambasciatore statunitense. Per un aperitivo amichevole, probabilmente.

 

 

 

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