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16-17 aprile 1975. Claudio e Giannino assassinati

Nelle giornate del 16 e 17 aprile del 1975 Claudio Varalli e Giannino Zibecchi  furono assassinati dalla violenza di stato.

Claudio ucciso da colpi di pistola esplosi da una banda neofascista il 16 aprile  e Giannino investito da un camion dei carabinieri lanciato contro il corteo il 17 aprile durante la grandissima risposta militante e di massa che ne segui.

Vorremmo oggi andar oltre la ritualità delle commemorazioni e infatti scriviamo queste righe non per esercizio di retorica e ma perchè il ricordo delle centinaia di compagni e compagne assassinati continui a vivere con forza nelle nostre lotte ed è parte del carico di memoria e di rabbia che ci spinge giorno dopo giorno contro il nemico di classe che Claudio e Giannino combattevano nel 1975 e che ora tutti noi continuiamo a combattere.
In secondo luogo queste scadenze e la volontà di uscire dalla mera commemorazione ci impongono alcune riflessioni. Innanzitutto, senza voler per altro fare una ricostruzione storica onnicomprensiva di quel periodo, sul filo rosso della continuità dal punto di vista valoriale ma nel contempo la differenza abissale della portata storica dell’antifascismo ieri e oggi.

Sono solo brevi appunti sull’ antifascismo che poniamo in maniera molto aperta all’attenzione dei compagni e compagne che ci leggono per provare ad alzare lo sguardo e guardare più in generale a ciò che si muove a monte dei livelli organizzativi del neofascismo italiano.

 

A metà degli anni ’70 è ancora in pieno svolgimento la pratica dello stragismo fascista in parallelo alla teoria degli opposti estremismi che si concretizzava in sintesi  con l’utilizzo della manovalanza fascista per compiere assassinii attentati e stragi con l’intento di suscitare una richiesta di stato forte e autoritario che sapesse affrontare con pugno di ferro l’estremismo di sinistra come quello di destra. Ma il cui vero obiettivo era quello di bloccare, con la paura e il terrorismo, il conflitto di classe che trovava mille articolazioni nella sua concretizzazione: operai in sciopero per aumenti salariali e per conquistare diritti e potere all’interno delle fabbriche, studenti in lotta contro l’autoritarismo e per lo sviluppo di una cultura fiondata sullo studio della storia come prodotto dialettico dello scontro tra le classi e elemento strutturale e condizionante del resto delle attività umane. Movimenti femministi amplissimi che lottavano contro la barbarie cattolica e maschilista della attribuzione alle donne di un ruolo subordinato e della negazione del diritto all’aborto riuscendo a mettere  al centro dell’agenda politica la contraddizione specifica di genere
Un movimento complessivo molto composito che alzava i paletti rivendicativi di volta in volta cominciando a vedere praticabile, possibile e necessaria una trasformazione rivoluzionaria della società intera e organizzandosi per praticarla.
Contro questi movimento, nella sua interezza complessità e diversità, si sono scagliate le forze repressive dello stato inclusi i fascisti.
Questo continuo attacco non ha posto sulla difensiva le diverse strutture della sinistra rivoluzionaria, ma al contrario ha fatto vivere l’antifascismo militante come elemento aggregativo e collante politico all’interno di ogni più piccolo momento di conflitto anticapitalista diffondendo con la chiusura dei covi fascisti, l’ espulsione dei militanti fascisti votate nelle scuole e praticate nei quartieri, il concetto che costoro erano solo il pericoloso braccio armato della borghesia puntato contro la lotta di classe.
Va rivendicato a quegli anni il recupero della Resistenza come conflitto avanzato e non solo come patto “democratico” con la borghesia illuminata e incoerentemente antifascista e il propagarsi degli anticorpi e di una cultura dell’odio verso le ingiustizie che trovavano nel fascismo e nel nazismo un ‘incarnazione quasi fisica.
Non un totem ma l’ultima propaggine di un nemico con cui battersi con ogni mezzo necessario nelle fabbriche nelle scuole e nei quartieri.
Una lotta concreta e militante che veniva utilizzata anche in chiave antirevisionista per stanare e sbugiardare davanti all’ ancora sana base del Pci e del Psi i compromessi, i cedimenti e la realtà di un arretramento strutturale politico e culturale di quei partiti di “sinistra” e riformisti che stavano pianificando il loro avvicinamento alle stanze del potere
accattivandosi i favori di una borghesia che vedeva d buon occhio una possibile evoluzione più progressista del potere in funzione di un maggior controllo sociale che il patto con il pci avrebbe loro permesso.
L’antifascismo militante, inteso anche come contrapposizione fisica alle provocazioni, era qualcosa di praticato e scontato per ogni struttura della sinistra rivoluzionaria, ma  persino trasversale a pezzi interi di proletariato industriale.
L’antifascismo come arma per rispondere agli attacchi del capitale.
L’antifascismo come elemento sostanziale di una battaglia più complessivamente anticapitalista.

La storia di quegli anni e non solo, ci ha insegnato che il nemico di classe utilizza strumenti diversi in relazione a ciò che possa essere più utile per il perdurare del proprio dominio : fascismo, guerra mondiale, terrorismo di stato, democrazia autoritaria e controllo sociale o qualsiasi altro strumento utile all’ assoggettamento delle classi subalterne
Ovviamente questa è un ipersintesi e quello, dagli anni ’80 in poi, è un periodo su cui poco si indaga anche per coglierne i nessi e le motivazioni oggettive e soggettive  che produssero l’arrestarsi  di un lungo decennio di lotte, ma verso la fine degli anni ’70 la borghesia  e la DC, il partito che più ne rappresentava gli interessi , giunta ad un punto di accordo con il Pci,  scaricava, lasciando allo sbando, le numerose organizzazioni paramilitari fasciste che per lungo tempo aveva foraggiato protetto e diretto.
Ovviamente stiamo tagliando a fette grossolane la storia ma questo embrione di ragionamento andrebbe sviluppato e interpretato dialetticamente nel senso che certamente connessioni e contiguità rimasero con alcuni apparati dello stato, ma ufficialmente e oggettivamente le bande fasciste smisero di essere utilizzate come il decennio precedente.

Oggi la situazione è ben diversa, il fascismo è stato in buona parte genericamente sdoganato nella sua completezza,  tranne qualche “eccesso” …… come le leggi razziali e la collaborazione con i nazisti nell’invio nei campi di concentramento di partigiani, oppositori, omosessuali, rom, ebrei….. da un ventennio berlusconiano scandito da  una campagna di revisionismo e di rimozione storica martellante che dura tutt’oggi.
Da questo punto di vista il vecchio Pci – che, con Renzi ha concluso il ciclo completo di trasformazione  da partito revisionista in partito della sinistra riformista e socialdemocratica per giungere ora, ad un ruolo soggettivamente definito di partito della borghesia liberal riformista – ha, in questa sua “evoluzione”,  dato fiato e lasciato campo libero ad interpretazioni  che rimuovessero uno dopo l’altro i paletti che potessero rappresentare discriminanti e elementi di “divisione” tra le forze politiche di governo per porre il pensiero unico come unica strada percorribile.

La fase di crisi del modo di produzione capitalistico nei paesi occidentali, ha aperto scenari diversi di fronte ai quali il modello “vincente” o meglio lo strumento sul quale la borghesia italiana sta puntando è l’imposizione di regole di compatibilità economica e politica dalle quali è vietato uscire. Assolutamente vietato uscire, per conformarsi ai trattati sovranazionali e per garantire la stabilità di governo e di pareggio del deficit .
Questa modalità di governo è esplicitamente l’imposizione di una “democrazia autoritaria” e tendenzialmente una forma di presidenzialismo di fatto che taglia ogni verifica e controllo “democratico” previsti dallo stesso  parlamentarismo borghese per passare ad una gestione diretta del comando e del potere su cui confindustria, banche e i grandi potentati economici e finanziari stanno investendo.
Gli stessi sindacati confederali non si lamentano tanto del saccheggio di diritti che questa ulteriore svolta sta compiendo, ma del fatto che la stessa concertazione sia stata sacrificata davanti al totem della stabilità economica e di governo.

Ben conosciamo la differenza tra governo e potere che in queste righe stiamo quasi sovrapponendo, ma non è questo l’oggetto del nostro ragionamento quanto verificare da questo punto di vista più generale  l’influsso, la pericolosità e il peso specifico delle pratiche fasciste e neonaziste.
Dal punto di vista complessivo degli assetti del potere economico e politico italiano, l’esistenza di gruppi partiti e partitini neofascisti  crediamo sia oggettivamente ininfluente.

Altra cosa è invece valutare come il peso della crisi e la conseguente marginalizzazione dal punto di vista produttivo di alcuni settori di piccola e piccolissima imprenditoria, renda possibile una maggiore presa “culturale”  di un neopopulismo con caratteristiche fortemente reazionarie e fascistoidi.

Interpretate da una parte dal movimento dei “forconi” come anche persino del ”grillismo”  in quanto portatori un’elevata  pericolosità ideologica, da molti trascurata, al di la dell’oggettiva ricezione e strumentalizzazione di (alcune) legittime ribellioni e del rifiuto generalizzato di condizioni inaccettabili di vita.
Pericolosità ideologica che contrappone i “cittadini” alla “casta” in una concezione gestionale della struttura economica esplicitamente interclassista e neocorporativa in nome di un “moderno superamento” di un’ analisi della società divisa in classi  (sinistra) come anche, a parole, di una gestione  più direttamente padronale dei rapporti di produzione. (destra)
Mentre la Lega, messa in ombra dal declino berlusconiano, dalla acclarata corruzione e dalle faide interne, sta da una parte ora puntando il tutto per tutto sull’efficientismo di una governance regionale, mentre dall’altra cerca brillare con la luce  riflessa che arriva da oltralpe con i successi del Fronte Nazionale di Marine Le Pen.

Queste sintetiche valutazioni  ci consentono di affermare che lo scontro con il “fascismo” oggi abbia  una prevalente componente valoriale e cioè che imponga una battaglia culturale contro i disvalori di prevaricazione, razzismo, sessismo, culto della violenza, del nazionalismo e dell’ arroccamento identitario, tendenzialmente senza sentirci costretti a dover rincorrere ogni iniziativa di gruppi e gruppuscoli  in cerca di pubblicità.        L’ obiettivo è invece  provare a prevenire e a combattere risposte profondamente negative alle condizioni imposte da una crisi e da una ristrutturazione sempre più pesante da pagare, per i proletari, dal punto di vista dei livelli occupazionali e livelli salariali. Un obiettivo importante e assolutamente necessario da perseguire anche  perché dall’Europa arrivano segnali chiari di come oggi populismo e xenofobia (Francia) e in qualche caso anche fascismo dichiarato come in Ucraina o in Grecia, possano attecchire non solo su fasce di piccola borghesia proletarizzata e senza più privilegi, ma anche su settori popolari allo sbando economico e culturale.

Questa situazione presupporrebbe una capacità politica della sinistra coerentemente anticapitalista di mettere in campo uno sforzo di sintesi politica della vertenzialità sociale diffusa, misurandosi con le contraddizioni materiali della nostra classe di riferimento come unico antidoto ed elemento di forza contro un sistema sociale basato sullo sfruttamento di classe , alzando la mira ben al di la e ben più in alto del voler centrare il nostro obiettivo sulle derive più esplicitamente di matrice fascista.
Questo non vuol dire l’ inerte sottovalutazione di un elemento oltretutto componente strutturale del nostro dna, ma sicuramente il provare ad affrontare volta per volta le tematiche antifasciste sulla base della loro relazione con la centralità del conflitto di classe che rimane sempre e comunque la contraddizione primaria
Diciamo questo perché nella difficile ricerca se non nell’ assenza di prospettive più complessive,  l’antifascismo ha svolto in passato e rischia di essere ancor oggi l’alibi, la coperta corta utilizzata per coprire l’incapacità di darsi una prospettiva autonoma e perseguirla.

Un lenzuolo nero da sventolarci davanti agli occhi e contro il quale gettarsi a testa bassa per non permetterci di guardare le eventuali mani che quel lenzuolo reggono, qualora effettivamente ciò fosse a loro funzionale.
In sintesi l’antifascismo, oggi più che mai, o è di classe o non è.

Alleghiamo un nostro documentino di memoria e ricostruzione storica sui giorni dell’aprile 1975 e sui compagni e le compagne assassinati negli anni ’70.
http://www.csavittoria.org/antifascismo/claudio-e-giannino.html

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