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80 euro. La fuffa e la ciccia

Con qualche fatica, per le esigenze elettorali dei tanti complici che cercano visibilità, la Camera ha approvato il decreto sul taglio dell’Irpef, quello diventato famoso per gli “80 euro” fantasma.

Confermato quanto spiegato da tutti – meno che dal governo, ovviamente: gli 80 euro sono una tantum per il 2014, sono molti meno a seconda degli scaglioni di reddito che svariano tra gli 8mila e 24mila euro annui (lordi: vuol dire stipendi al massimo di 1.200-1.400 euro al mese), niente per gli “incapienti” (coloro che guadagnano, si fa per dire, meno di 8.000 euro l’anno e che non pagano tasse).

Per gli anni a venire si vedrà… Andrebbero “reperite risorse” con il taglio di altre voci di spesa pubbliche. In ogni caso è un gioco a somma zero: quello che ti mettono in tasca con una mano te lo levano con l’altra, attraverso un meccanismo in fondo casuale rispetto alle condizioni individuali. Il meccanismo messo in moto riguarda infatti la riduzione di un’imposta sul reddito (individuale), mentre le “risorse da reperire” significano tagli a molte cose, tra cui sanità, istruzione, servizi locali. Oppure in aumento di altre tasse (come quelle sulla casa, che riguardano praticamente tutti i cittadini, di ogni ceto sociale). Quindi potresti ritrovarti in tasca 50 o 80 euro al mese in più, ma essere costretto a pagare medicine (anche salvavita) che prima ti arrivavano gratis o con il solo ticket. E così via.

Il bonus fiscale dei miracoli sarà in totale di 640 euro – 80 al mese fino a dicembre – per i contribuenti con reddito lordo annuo fino a 24.000 euro. Tra i 24.000 e i 26.000 il bonus decresce molto rapidamente, fino a zero.

Per renderlo “strutturale” è stato istituito un “fondo” che al momento contiene appena 2,7(4,7 per il 2016, 4,1 per il 2017 e 2,0 dal 2018 in poi). Ne servirebbero almeno 10 l’anno. E con l’entrata in vigore del Fiscal Compact (50 miliardi di tagli alla spesa pubblca ogni anni, in caso di crescita zero del Pil) è escluso che possano essere reperiti. Per ora, il governo si limita a indicare una voce dal gettito altamente aleatorio, come la lotta all’evasione fiscale. La previsione per il 2015 contenuta nel Dl Irpef parla di almeno 15 miliardi, due in più di quelli recuperati l’anno scorso.

La speranza – sparsa dal ministro dell’economia Padoan a margine dell’approvazione del decreto – è che questa elargizione una tantum possa avere «ripercussioni positive sul Pil in quanto le famiglie potranno spendere di più e le imprese saranno stimolate a investire e, di conseguenza, a creare maggiore lavoro». Se non ci fossero anche le “sottrazioni di reddito” prima evidenziate, il discorso starebbe anche in piedi, sebbene con molta fatica. Ma “a saldo zero” la spesa possibile per coonsumi resta sempre quella. Se poi vi si aggiungono gli effetti criminali del jobs act – che indurrà certamente una riduzione generalizzata dei salari, non soltanto per i nuovi assunti – allora possiamo tranquillamente dire che l’effetto sul Pil (dell’insieme delle decisioni che questo governo va prendendo o progettando) sarà complessivamente negativo. Ma per i profitti aziendali andrà certamente meglio.

Dal primo luglio, infine, scatta l’aumento dal 20% al 26% dell’aliquota sulle rendite finanziarie. E tutti si metteranno a dire “bene! Si tassano le rendite”. Sì, certo. Solo che beccare le prime – sui mercati finanziari globali – è piuttosto difficile. Mentre è molto più sicuro attingere a quelle “rendite”, minime ma diffuse anche tra i meno ricchi, che si chiamano “interessi su conti correnti e depositi postali”.

Le uniche esenzioni riguardano i titoli di Stato, come Bot e Btp, per non scoraggiare l’acquisto da parte degli “investitori istituzionali”. Ovvero le banche e i fondi dinnvestimento.

Del resto Alfano l’aveva anticipato: “è inutile tassare i ricchi, sono troppo pochi!”. Meglio tassare i poveri, che sono tanti. Come a Nottingham…

 

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