Se affidi tutte le tue chance di riuscita sulle promesse, c’è sempre il rischio di farsi molto male. Si capisce, dunque, perché Renzi definisca “falsità” i rielevi dei tecnici del Senato sulle “coperture” per elargire gli ormai famosi – ancorché mai visti – “80 euro di detrazione Irpef” per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 25.000 euro annui. Lordi (1.300 al mese, netti).
Si capisce, ma naturalmente non si giustifica. Tanto più che – senza mezzi giri di parole – il premier venuto dal nulla ammicca al pubblico televisivo facendo capire che quei rilievi tecnici sono frutto esclusivamente di “burocrati” che resistono alla sua spinta al rinnovamento.
Non conosciamo personalmente alcun “tecnico” del Senato, ma ci semba chiaro – per la natura dei contratti in essere tra loro lo Stato – che se anche il senato venisse abolito domattina quei tecnici contnuerebbero a lavorare per lo stato. Magari alla Camera o nel nuovo “scatolone delle autonomie” cui verrebbe ridotta la seconda camera del Parlamento. Il loro posto di lavoro, al contrario dei seggi senatoriali, non è affatto a rischio. Quindi perché dovrebbero dire una cosa falsa?
Più probabile che Renzi stia cominciando a pattinare sul sapone e se ne sia anche accorto. La sua strategia comunicativa è tutta incentrata sul far davvero male al mondo del lavoro (jobs act, contratti a termine, apprendistato, delegittimazione populistica della funzione del sindacato, taglio dei permessi, compressione salariale violenta, ecc) facendo però balenare “vantaggi” che però fin qui nessuno ha visto. Una situazione che non può durare a lngo e su cui rischia di bruciare tutte le sue ambizioni. Tra un po’ il numero dei fessi che si dicono e dicono “lasciamolo lavorare” comincerà a ridursi drasticamente.
Per questo l’unica modalità che va assumendo la sua retorica a getto continuo (calcolando il nujmero di ore in cui appare nella varie tv nell’arco di una giornata è fisicamente impossibile che si occupi di altro, tipo “governare”) è la delegittimazione di quanti azzardano una critica qualsiasi, anche blanda. Se ne sono accorti anche alcuni dei suoi promoter ed estimatori, come gli opinion maker dei princiapli media italiani.
Prendiamo il caso di Antonio Politico, sul Corriere della sera di qualche giorno fa. Non parliamo certo di un estremista di sinistra (dirigeva “Il riformista” insieme a Macaluso, un foglietto “migliorista” che da anni auspicava un Renzi).
“chiunque muova critiche al governo viene additato come portatore di un interesse personale e poco nobile che spiegherebbe la vera ragione del suo dissenso. La Cgil parla contro il decreto sul lavoro perché gli è stato tagliato il monte ore dei permessi sindacali; il cantante dal palco del Primo Maggio rompe perché ha perso un incarico retribuito a Firenze; i funzionari del Senato, che per dovere d’ufficio devono dare un parere sui decreti, dichiarano i loro dubbi sul bonus di 80 euro solo per vendicarsi della imminente riforma del Senato. E via dicendo. A tutti viene di solito rinfacciato che per il loro lavoro ricevono un compenso, come se fosse un’aggravante.”
La preoccupazione è evidente, e non riguarda il “costume democratico”. E’ la credibilità del premier venuto dal nulla che, andando di questo passo, viene messa a rischio. E’ infatti fin troppo facile, per chiunque, rovesciare il sospetto: “Renzi, tu fai quello che fai perché ci guadagni direttamente o conto terzi”. Se così fan tutti (come suggerisce Renzi), perrché mai lui dovrebbe agire differentemente? Lascaimo perdere i siparietti di frasi fatte (“ce lo chiedono gli italiani”, su tutti) appicciato ad argomenti di cui la stragrande maggioranza dei cittadini spesso ignora finanche i termini (“le riforme istituzionali”, per esempio). Parliamo delle misure concrete, come il jobs act o i contratti precai a vita. Chi ci guadagna? Non certo chi dovrà subirli. Ed è un ragionamento da schiavista quello che usa spesso Renzi (e prima di lui Berlusconi, Sacconi, Brunetta, ecc): “meglio pagati poco, ma al lavoro, che disoccupati”. Una compressione salariali ai limiti delle possibilità di sopravvivenza, ecco il “modello sociale” che ne viene fuori.
Ma torniamo ai “poveri” (non sul piano reddituale, ovvio) “tecnici del Senato”. La frecciata velenosa di Renzi ha costretto il presidente del Senato a difendere pubblicamente i “suoi” dipendenti. Non poteva fare diversamente, del resto. Grasso è noto come anguilla prudentissima, capace di farsi mettere a capo dell’antimafia mettendo d’accordo berlusconiani e nostalgici di Falcone. Eppure, per la seconda volta in pochi giorni, ha dovuto mettersi di traverso rispetto all’incedere renziano. Quindi si tratta di una contraddizione “istituzionale”, non tra personalità individuali.
Le valutazioni espresse dai tecnici, dice Renzi, sono “tecnicamente false”. Niente affatto, è la replica del numero uno del Senato: gli esperti di Palazzo Madama, sostiene, “fanno opera di controllo doveroso ai sensi della Costituzione” e non sono certo animati da alcuno spirito di parte o di “vendetta”. E’ costretto a esporsi in prima persona a sostegno dell’operato del Senato: “Io sono garante dell’autonomia e dell’indipendenza delle valutazioni fatte dai senatori. Valutazioni che non possono essere considerate in parte valide e in parte carta straccia”. Insomma, aggiunge, “non posso accettare che si metta in discussione la serietà, l’autonomia e l’indipendenza degli uffici del Senato”.
E qualcosa di già visto, se ricordate gli anni berlusconiani. I poteri “terzi” – dai tecnici contabili alla magistratura – non possono esistere (se ti danno torto). Quindi non devono poter esistere.
Molto innovativo, non è vero?
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