La rottura di Cofferati, dopo gli evidenti (e parzialmente ammessi) brogli nelle “primarie” liguri, cade com un boomerang sul Pd renziano e assume i contorni dell’evento salvifico per quanto fa finta di muoversi alla “sinistra” del Pd. Diciamo “fa finta di muoversi” perché preferiamo sempre concentrarci sugli elementi di programma che compattano o dividono le varie formazioni politiche anziché farci abbacinare dai nomi. Guardiamo insomma ai processi in evoluzione, più che le facce dei momentanei protagonisti. Operazione tanto più necessaria in un microuniverso di figure transitorie, com’è la politica di palazzo italiana.
Le ultime esternazioni dei vari Fassina, Civati, Vendola, danno conto di un rimescolamento di carte nella confusa area dei trombati dalla resistibile ascesa renziana. Addirittura viene prospettata una pesante “conseguenza” sulla scelta del prossimo presidente della Repubblica, come se questa dipendesse soltanto dalle infinite combinazioni possibili tra quei mille “grandi elettori” e non – prinicipalmente – dalla necessità che il presidente sia un “garante” dell’affidabilità dell’Italia rispetto alle direttive dell’Unione Europea o più in generale della Troika.
Ma è comunque indubbio che “qualcosa” sta avvenendo, almeno per quanto concerne la possibilità di rappattumare un ceto politico fatto di furbetti storici ora sconfitti in un “nuovo grande contenitore di centrosinistra”, finalmente “ingigantito” da una possibile scissione del Pd. E stante la sempre ribadita intenzione di Maurizio Landini di non “scendere in politica” – terreno di sabbie mobili perenni, preferendo di gran lunga restare alla guida della Fiom e dilì puntare alla segreteria della Cgil – la figura del “Cinese” sembra avere il carismo sufficiente a catalizzare una massa critica non del tutto irrilevante, poescando a piene mani in quell’area numerosa di “delusi” dal Pd alleato di Berlusconi, in grandi parti della Cgil, ecc. Parliamo di un’area in grado di superare di gran lunga a soglia minima del 3%, se la legge elettorale chiamata Italicum dovesse restare quella fin qui indicata. Ma totalmente innocua sul piano delle alternative politiche, perché il suo orizzonte – già ora – è al massimo nel rovesciamento dei rapporti di forza numerici ed elettorali rispetto alla componente renziana. Anche l’eventuale scissione del Pd, insomma, non avrebbe neanche le caratteristiche di una Podemos o Syriza “all’italiana”, ma quelle ben poco “innovative” di un Pse spagnolo o Pasok greco. Una congrega di amanti traditi, non una nuova storia romantica…
Vedremo gli sviluppi, ma certo il volgare giochetto avvenuto in LIguria ai danni di Cofferati appare un errore clamoroso, sul piano tattico, da parte dei renziani. In fondo non era affatto indispensabile “blindare” la Liguria a favore della brutta copia della Boschi. Cofferati “governatore” avrebbe forse potuto rappresentare una modesta spina nel fianco al momento della legge di stabilità, agendo da capofila degli enti locali impoveriti dai tagli di spesa. Ma non avrebbe rappresentato un pericolo politico nazionale, come invece può ora diventare, rappresentando il punto di catalizzazione del pulviscolo “a sinistra del Pd” ma niente affatto alternativo al sistema Pd.
I renziani si sono mossi posseduti dall’ansia di stravincere, come una banda di rapinatori che deve spartire velocemente il bottino prima di sparire nell’ombra da cui sono emersi quasi a loro insaputa. Ora rischiano di non vincere le regionali liguri, a maggio, e si complicano la vita nel percorso parlamentare delle “riforme”. Non dubitiamo che reagiranno “alla Renzi”, aumentando il grado di conflittualità e di “asfaltamento” dell’opposizione interna. Sanno benissimo, infatti, che la cultura politica, le abitudini, le convinzioni radicate nell’area degli ex-Pci è un groviglio inestricabile di genericità programmatica, disponibilità assoluta all’infinito compromesso (indimenticabile il Cesare Damiano che, di fronte alla iattura del Jobs act, parlava di “successo nella riduzione del danno”), gelosie reciproche insanabili, assenza di qualsivoglia impostazione “alternativa”. Lo vedono ogni giorno: ad ogni decisione da prendere, quell’area si sfarina in cinque-sei posizioni diverse.
Ciò nonostante quest’area possiede ancora numeri importanti nella compagine parlamentare. Si può dunque prevedere una massiccia “campagna acquisti” – Orfini, ex ombra di Fassina ora “elevato” a presidente del partito, insegna – mentre dall’altra parte ci sarà tutto un brulicare di convegni e telefonate per concordare uno straccio di tessuto comune.
L’inutilità “strategica” di questo tentativo che ora potrebbe prendere corpo comporta comunque dei danni anche “a sinistra”. Vediamo da anni questo brulicare alla ricerca di una nuova identità-collettore-contenitore. E vediamo da anni che il motore fondamentale resta la ricerca di una rappresentanza elettorale al di sopra del quorum. Mentre su programma, obiettivi e radicamento sociale tutto viene ammesso, venduto, svenduto.
Questi tentativi – vogliano dire in sintesi – hanno fin qui avuto l’unico risultato di impedire l’aggregazione di un pensiero e di una prassi sociale-politica totalmente alternativa al “sistema Pd”. Persino aree “antagoniste” guardano infatti a questi rimescolamenti con l’interesse motivato dalla possibilità di strappare un consigliere comunale lì, un rapporto privilegiato con un assessore là. Senza nessuna prospettiva “diversa” (“antagonista” sarebbe davvero eccessivo).
L’unico risultato “positivo”, insomma, potrebbe essere l’indebolimento forte di Renzi, già in drastico calo di popolarità.
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