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Scajola, l’Expo, Renzi e Berlusconi: il crimine al potere

Emergenza e lotta alla corruzione. Dopo oltre venti anni di reazioni automatiche dello stesso tipo a un’ondata di arresti per tangenti in grandi opere, nessuno può più credere che questa sia una soluzione.

La risposta di Renzi e del suo governo di incompetenti – Pier Carlo Padoan a parte, guardiano del capitalismo multinazionale e degli istituti sovranazionali nella “provincia” italiana – è identica a quelle di Berlusconi, Prodi, ecc: commissariamento, centralizzazione al governo dei poteri decisionali sulla singola grande opera, revisione delle leggi anti-corruzione, chiamata di un magistrato “integerrimo” a presiedere l’organismo ad hoc per controllare la correttezza delle procedure e della assegnazioni finanziarie a meno di anno dall’”evento”.

Il tentativo è chiaro: si centralizza per ridurre al minimo i “rivoli” che sottraggono energie e fondi, ben consapevoli che non si tratta di evitare la corruzione connessa alle grandi opere, ma di limitare la riproduzione del meccanismo corruttivo ad ogni livello decisionale, dall’ufficio del commissario fino all’ultimo impiegato “armato” del timbro “indispensabile”. Si chiama un magistrato senza macchia per fare da foglia di fico a una macchina che andrebbe invece smantellata integralmente.

Probabilmente, sul piano dell’immagine pubblica del “Paese”, sarebbe più serio rinunciare all’Expo 2015 motivando esplicitamente il gesto con l’apertura di una campagna militar-giudiziaria di pilizia generale, mirata a recidere una volta per sempre – o almeno per qualche lustro – i legami tra i professionisti dell’amministrazione delle gare d’appalto e le imprese “destinate” a vederseli attribuire.

Questo significherebbe però bloccare i finanziamenti già stanziati, “rovinare” le imprese (corruttrici!) che si son già viste assegnare l’appalto o il subappalto, interrompere il flusso di mazzette alle cordate “politiche” (lo diciamo una volta per tutte: sono “comitati d’affari”, che di politico hanno solo l’etichetta).

È credibile che possano farlo? Ma figuriamoci…

E allora ecco la solita pantomima: una “task force” affidata dal governo a Raffaele Cantone e all’Authority anti-corruzione da lui presieduta. E una mobilitazione del Parlamento per avviare una sessione speciale delle Camere che ultimi l’impianto normativo necessario a scongiurare il diffondersi di episodi di malaffare nel Paese.

Questo Parlamento di nominati e miracolati “si mobilita” per evitare il “diffondersi del malaffare”? Scorrendo i nomi degli attuali parlamentari corre davvero un brivido lugo la schiena. Per metà si tratta di gente che sta aspettando un’incriminazione o l’ha già ricevuta; per l’altra di absolute beginners buttati lì dentro in omaggio alla necessità di immagine di “rinnovare” il vecchio parco giochi. La maggior parte sono grillini, è risaputo. Quelli più scaltri sono invece i renziani di primo pelo, quell* dal sorrisetto educato, che danno sempre la stessa risposta a qualsaisi domanda e che ci piacerebbe poter intervistare – ma “senza rete protettiva” – su un qualsiasi problema concreto.

Qualcuno – per esempio Gramellini, de La Stampa – ha efficacemente ironizzato sul “paese bloccato”, che non riesce nemmeno a produrre dei “mazzettari giovani”, capaci di sostituire vecchie cariatidi come Primo Greganti, Gianstefano Frigerio o Maltauro. A noi sembra invece evidente come l’invocazione del “ricambio generazionale” – nelle condizioni date, con le giovano generazioni consapevolmente condannate dal potere all’ignoranza (in senso tecnico: con lo smantellamento della scuola e dell’università pubblica) – sia di fatto solo uno specchietto per le allodole. Restano in campo i “vecchi tangentari” perché un po’ di competenza bisogna anche avercela; non basta la disinvoltura, l’ambizione, la spregiudicatezza. Per fare il collettore di mazzette sul terreno minato degli appalti pubblici, insomma, bisogna sapere dove mettere le mani, aver ben chiaro i pesi specifici dei soggetti interessati, saper rischiare una pallottola ‘ndraghetista o mafiosa e tuttavia non farsela sparare, essere infidi con i nemici e “fedelissimi” alla cordata di riferimento. Non è insomma per caso che Frigerio e il “compagno G.” stiano ancora su questa piazza. Sostituirli, come sarebbe stato logico anche per questioni di immagine, si deve essere rivelato molto difficile.

Ora, al potere, non resta che dare l’impressione del “decisionismo”, mostrando il polso di chi ora “cambia davvero le cose”. La logica che Renzi & co. mettono in campo è dunque sempre la stessa: l’Expo è “un’occasione troppo grossa per buttarla via. Se ci sono problemi con la giustizia, si devono fermare i responsabili e non le grandi opere”. Stabilito questo, il resto vien da sé.

I tecnici e il commissario dell’Expo saranno affiancati da un pool di avvocati, magistrati contabili, esperti di contratti. Raffaele Cantone, neo-presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, si occuperà di “rimettere a posto le cose” a Milano. Incrociando le dita.

Serissima – perché rivelatrice di un vero e proprio sistema politico-affaristico-mafioso – è la vicenda che ha portato in galera un ex ministro dell’interno come Scajola, nonché vari “potenti” piazzati al confine tra “la politica” e l’imprenditoria criminale (Matacena).

Eravamo abituati a vedere “uomini del Sud” (Dell’Utri, Cosentino, infiniti altri minori) concludere la propria luminosa galera andando a prendere “il sole a scacchi”. Scajola – a questo punto dell’inchiesta – sembra davvero “l’hub” dove si concentrano i traffici dai “soliti luoghi” e si trasmutano in “capitali perbene”. Il gigantesco archivio descritto dai gironali di oggi, se indagato a fondo, dovrebbe restituire il quadro esatto del “blocco sociale berlusconiano”. Quello che per venti anni ha governato o comunque imposto l’agenda politica, determinato la “cultura comune” del paese, imposto a tutti codici di pensiero e comportamenti “privatistici”.

Bisognerà pure riflettere sulla forza di questo “blocco”, sulla sua estensione sociale. Non vi sembra illuminante che il ministro dell’interno di Genova 2001 e Bolzaneto sia anche l’uomo di collegamento tra i governi di un ventennio e le varie mafie? Non vi sembra accecante la constatazione che gli affari eno puliti fossero gestiti in assoluta concordanza di interessi, vedute, soluzioni, meccanismi, percentuali, tra “fiduciari” di cordate politiche “fiere avversarie” soltanto nel discorso pubblico, nei talk show addomesticati per la rissa di parole? Non vi sembra, insomma, che questa “tangentopoli vent’anni dopo” dica sulla classe dirigente di questo paese qualcosa di più della sola “immoralità”?

Prendiamo a misura questo passaggio da un editoriale di Sergio Rizzo, sul Corriere della sera di oggi:

“Nel 1995, quando i più importanti processi di Mani pulite erano ancora in pieno svolgimento, l’Italia occupava la casella numero 33; diciotto anni dopo eravamo precipitati al sessantanovesimo posto. Dopo Ghana, Arabia Saudita e Giordania; distanziati di 39 posizioni dalla Spagna, 47 dalla Francia, 57 dalla Germania.”

Una constatazione, intanto: per gli appassionati di “competitività del paese”, forse questo dato vale più del “costo del lavoro” (che lo stesso Fmi riconosce non contare più quasi nulla). Ma andiamo oltre…

Questo sprofondare nella melma – accompagnato da grandi grida sulla “legalità”, la “mano dura” contro le opposizioni popolari, dalla riduzione degli spazi democratici, ecc – certifica che tutta la classe dirigente storica (imprese, partiti, “la politica” esattamente quanto “la società civile”) manca delle prerogative minime che giustificano la sua posizione “dirigente”. Ma morale non c’entra, o è al massimo una derivata secondaria.

Se qualcuno pensa che uno soltanto di questi personaggi possa “contribuire a cambiare le politiche dell’Unioen Europea”… è da ricovero.

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