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Giro di polka nell’Unione Europea, Mogherini lady Pesc

Volti nuovi al vertice dell’Unione Europea? Non proprio. Le nomine del polacco Donald Tusk a presidente del Consiglio europeo (in sostituzione di Hermann von Rompuy) e dell’italiana Federica Mogherini a “alto rappresentante per gli affari esteri”, overo “lady Pesc” (al posto dell’uscente Caroline Ashton) sono l’ultimo tassello del ridisegno delle istituzioni continentali dopo le elezioni di maggio. E sono il frutto di un equilibrio conflittuale degno del “manuale Cencelli” di democristiana memoria.

Se occupare una di queste poltrone fosse il segno di un potere reale, anziché la “garanzia” di interessi potenzialmente divergenti, le scelte sarebbero state assolutamente diverse. Il neopresidente polacco è infatti il frutto del (necessario) equilibrio tra centralità decisionale tedesca (l’economia di Varsavia è totalmente “contoterzista” di quella di Berlino) e l’esigenza britannica di esser ancora un membro influente pur marcando progressivamente le distanze dall’Unione Europea.

L’italiana Mogherini – dietro i gridolini di facciata per “una giovane donna” a capo della diplomazia continentale – è una altrettanto solida risultante tra interessi tedesco-europei e statunitensi, a quotidiano rischio di lacerazione davanti all’escalation anti-russa imposta dagli Stati Uniti sulla crisi ucraina. La parte centrale del suo curriculum, infatti, non consiste tanto nei sei mesi passati da ministro degli esteri italiano, quanto nell’essere da anni membro dello IAI (Istituto Affari Internazionali) e contemporaneamente del Consiglio per le relazioni fra Italia e Stati Uniti; nonché fellow del German Marshall Fund for the United States.

Nessuno, d’altro canto, può davvero immaginare che la politica estera della Ue possa esser “decisa” al di fuori di questo equilibrio. E non c’è alcuna contraddizione tra il fatto che l’Italia sia un paese governato dalla Troika da tre anni (dall’inizio del governo Monti, seguito da altri due esecutivi mai eletti da nessuno) e che possa “esprimere” candidati a poltrone di prestigio. Il personale che va a occuparle, al di là delle condizioni o della forza relativa del paese da cui proviene, è infatti politicamente “apolide”. O meglio: personale “comunitario” selezionato dall’alto e in altri “centri di formazione”, non “proposto” dal singolo paese. Anni di protagonismo del portoghese Barroso, per esempio, dovrebbe aver chiarito a iosa questa realtà.

Renzi, naturalmente, si appunta la medaglietta Mogherini, anche per nascondere le bastonate che cominciano ad arrivargli sul piano economico. Che persino Repubblica – e in particolare Tito Boeri – abbiano spernacchiato il suo decreto “sblocca-Italia” come fuffa senza conseguenze sulla “crescita” segnala infatti la montante insofferenza del potere reale per questo governo tutto annunci e pochi fatti.

Detto più chiaramente: nello scenario che abbiamo davanti queste nomine non cambiano assolutamente nulla.

 

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