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Jobs Act. Schermaglie iniziali in attesa dei colpi di clava

E’ ormai evidente che l’approvazione del Jobs Act sia l’obiettivo prioritario del governo Renzi per i prossimi mesi. A pretenderlo, come conferma oggi La Repubblica, sono la Bce e la Commissione Europea in cambio della concessione di un po’ di flessibilità sui conti pubblici. Imporre definitivamente il comando delle imprese sui lavoratori e l’azzeramento delle tutele, è una conferma della “lotta di classe dall’alto” dichiarata in questi anni dal capitale.

Le affermazioni del premier circolate avevano suscitato perplessità a settori nel Pd più vicini alla Cgil, soprattutto quando Renzi ha detto che problema non è l’articolo 18, ma ha fatto riferimento alle meraviglie del “modello tedesco” sul mercato del lavoro. Stamattina, prima di recarsi a palazzo Chigi, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha voluto fare il punto con il Pd in una riunione alla quale partecipavano, tra gli altri, i capigruppo in Parlamento Luigi Zanda e Roberto Speranza, il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio Cesare Damiano e il responsabile economia del Pd Filippo Taddei. “Il timore – spiega un esponente della sinistra Pd che non era presente alla riunione – è che sull’articolo 18 non ci sia solo Ncd, ma anche pressioni europee”. Alcuni sostengono anzi che proprio questa potrebbe essere la condizione posta dalla Germania e dagli altri sostenitori del rigore: una riforma del lavoro simile a quella spagnola che ha precarizzato enormemente il lavoro e abbassato il monte salari a disposizione dei lavoratori.
L’esigenza di Renzi, spiegano in casa Pd, è quella di avere una “riforma strutturale” sul piano economico-sociale da presentare a Bruxelles e Francoforte per dimostrare che l’Italia sta facendo sul serio i compiti a casa e che, quindi, ha tutti i titoli per chiedere più flessibilità nella politica economica che la Germania e i custodi del “rigore” non vogliono concedere.
Giovedi inizia l’iter di discussione sul Jobs Act in Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, e al momento i capigruppo del Pd e Damiano hanno fissato alcuni paletti che danno il via libera al contratto unico a tutele crescenti evocato ieri da Renzi, a patto che non si metta assolutamente in discussione l’articolo 18. In realtà c’è anche se c’è disponibilità a prevedere la sospensione dell’articolo 18 per i primi tre anni di contratto, a patto che allo scadere di quel termine ci siano incentivi fiscali per assumere a tempo indeterminato e che a quel punto l’articolo 18 sia garantito come per i vecchi lavoratori. Il responsabile economico del Pd, Taddei ha spiegato che “il richiamo al modello tedesco è un richiamo ad andare avanti nel percorso delle riforme sul mercato del lavoro, dopo il decreto Poletti. Il desiderio di arrivare a ammortizzatori sociali universali, a una semplificazione contrattuale che favorisca il lavoro stabile e a superare infine politiche attive di formazione regionalizzate e riportarle all’interesse nazionale”. Fin qui siamo alle schermaglie, ma occorre verificare se questa linea del Pd sarà accettata dagli altri partiti di maggioranza, a cominciare da Ncd (dove i cultori della vendetta di classe scalpitano da tempo) e soprattutto dalla troika europea.

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