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Verona, il saccheggio della memoria e la provocazione dei fascisti

Non hanno scelto un quartiere qualsiasi per consumare la solita liturgia xenofoba. No, quelli di Forza Nuova non hanno preferito un’anonima piazza, per il primo novembre. La questura di Verona ha, infatti, autorizzato il raduno proprio nella piazza che accoglie il monumento dedicato ai caduti della Shoah, quel monumento che con i suoi 6 metri di altezza e 83 quintali di peso, raffigura il doppio nodo del filo spinato, un simbolo che richiama il buco nero nella storia del Novecento. E proprio su una pietra di marmo nero, posta ai piedi del monumento, è riportata la dedica: “a perenne memoria delle vittime della Shoah e di quanti, militari e civili, sono caduti nei lager nazisti della seconda guerra mondiale”. 

Quel monumento non si trova in un quartiere qualsiasi, ma in un luogo di memoria e di azione antifascista. Veronetta, con la sua altissima densità di emigrati, è un cuore pulsante nel centro storico della città. E’ un quartiere in cui, nonostante gli sforzi dell’amministrazione leghista di atomizzare, di parcellizzare vite e destini e a dispetto degli odiosi appellativi che ne hanno stravolto il nome, trasformandolo prima in “Terronetta” e poi in “Neronetta”, si avverte come ogni angolo, ogni pezzo di muro, ogni strada, non siano solo lastricati della fatica dell’integrazione. Veronetta è, infatti, il quartiere laboratorio dei movimenti, delle battaglie contro ogni forma di discriminazione, della consapevolezza che l’antifascismo non è un residuo archeologico, ma è innanzitutto responsabilità.
Ebbene, proprio in questo luogo è stato compiuto, nonostante le pressioni dell’“Assemblea 25 ottobre”, che solo una settimana fa ha dato vita a un’ importante manifestazione antifascista, l’atto di dissacrazione, il saccheggio della memoria, il rovesciamento di valori. Quel quartiere, cuore antico della città, appariva quasi surreale, con l’impressionante cordone di polizia intorno al monumento, quel cordone lì asserragliato, non per difendere la nostra identità storica e morale, ma per garantire ai militanti di Forza Nuova la colonizzazione della piazza, sostenendone legittimità e rispettabilità. Al presidio antifascista rimaneva il macabro panorama di un iperbolico spiegamento di forze che sembrava lanciare il messaggio di un antifascismo diventato ormai zavorra residuale di Stato.
E quel che appare ancor più grave è la risposta data dalle autorità, a fronte delle pressioni degli antifascisti: si autorizzava la manifestazione di Forza Nuova (lì per protestare contro l’utilizzo di un ostello situato in quel quartiere a favore di emigrati e profughi) per par condicio, avendo autorizzato, una settimana prima, la manifestazione antifascista. Con grande rammarico bisogna riconoscere che la politica dell’azzeramento dello scontro di valori, in atto da tempo in questo paese, ha portato i suoi buoni frutti e non solo nella città dell’amore e dal “cuore nero”. Nell’era del post-antifascismo e delle memorie condivise, l’esito è stato l’omologazione, ovvero la cancellazione della memoria. Quando si celebrano date come il 9 maggio, giorno della memoria di tutte le vittime, o si rinuncia con consapevolezza alla specificità storica, quando si mettono “ismi” in concorrenza, si rende tutto uguale, quindi tutto neutro e dunque tutto indifferente, un problema di ragioneria, di banale conteggio di vittime, non importa più a nessuno se di Marzabotto o di Nassirya. E’ ciò che da tempo accade nel paese dell’antifascismo da soffitta e naftalina.
Così, traducendo lo scontro di valori in questioni da “ragazzi della via Pal “, il Boka oggi era di Forza Nuova, e i Csele, Nemecsek, Csonakos, Weisz, Gereb e Kolnay, i “ragazzi della via Pàl”, per la questura ieri erano gli antifascisti e oggi  quelli degli slogan xenofobi, con buona pace del finto moderatismo di questa città.

*Ross@ Verona

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