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Bruxelles stringe l’assedio al governo Renzi

Più di qualcuno, anche sui media padronali, invita il governo a occuparsi più di economia e meno di altre “riforme”, utili solo a strangolare il processo democratico. L’avvertimento è sensato, anche se il dubbio che venga avanzato “pro domo sua” è un po’ forte.

L’avvertimento che arriva dall’Unione Europea è ancora più robusto; ed anche in questo caso niente affatto neutrale. Nel suo primo rapporto sugli «squilibri macroeconomici» la Commissione esamina tra le altre la situazione italiana, alla luce dei trattati e dei vincoli comunitari, nonché del Documento di economia e finanza redatto a giugno, e stende un verdetto agghiacciante: per ridurre la montagna del debito pubblico in misura significativa, nel 2015 il governo dovrebbe “correggere” il saldo strutturale di quasi un punto di Pil. Lo 0,9%, per la precisione, che equivale a 14 miliardi.

Il governo ne ha invece accantonato soltanto sei, per fare una legge di stabilità molto democristiana, ovvero capace di nascondere alcune misure antipopolari sotto la coltre di una “distribuzione” caritatevole (gli 80 euro). La stessa cifra prevista dal governo Letta, che però presumeva – come Renzi – di poter contare su un tasso di crescita positivo. E invece l’anno si chiuderà con un aconferma della recessione, sfatando le “aspettative”.

Siccome a Bruxelles stanno attenti a quel che dicono, e ricordano sempre le cazzate sparate dai leader nazionali a fini di consenso interno, la Commissione si toglie anche lo sfizio di ricordare al premierino italiano che se il giudizio sulla manovra e sui conti fosse stato appannaggio dei soli “burocrati” europei per l’Italia si metterebbe molto male. Per fortuna gli uomini di Juncker sono tutti dei politici, che sanno quindi dosare il bastone e la carota, senza farsi abbacinare dalle sole cifre.

E dunque esprimono un moderato apprezzamento per le “riforme” che il governo sta approntando (quella del mercato del lavoro, che più preme alla Troika e alle multinazionali), anche se lamenta la lentezza delle “privatizzazioni”, che scontano un doppio handicap: le società migliori, quelle più grandi e redditizie (a parte l’Eni) sono già state completamente privatizzate; e quel che resta – le partecipate e poco più – sono anche da sempre una greppia cui attingono i capi-clientela che dirigono anche i partiti di governo (alternativamente berlusconiani e piddini, ora felicemente riuniti sotto un solo conducator). Insomma. Devono mettersi d’accordo con molta fatica su chi e quanto ci deve rimettere.

L’avvertimento europeo non è comunque un via libera alla manovra. Quella arriverà – se arriverà – tra una quindicina di giorni, dopo l’analisi dei “burocrati”. E non è affatto detto sia positiva – spiega il “socialista” Moscovici, teoricamente il mano dureo dei commissari economici – «la storia non è ancora finita», può essere benissimo che il governo italiano sia chiamato a fare «sforzi ulteriori» pari allo 0,2-0,4% del Pil. Da tre a sei miliardi aggiuntivi, tra tagli o nuove tasse. Come dire: gli “sforzi” saranno tutti a nostro carico.

Pierre Moscovici ha comunque lasciato una speranza, anche perché l’Italia è un paese “pesante”, e ogni scricchiolio critico che la riguarda coinvolge immediatamente la stabilità dell’intera eurozona. «E’ difficile che si arrivi a una procedura di deficit eccessivo, ma resta la porta aperta per una ‘Excessive Imbalance Procedure’», che innescherebbe un controllo comunitario ancora più stringente sui conti italiani per evitare squilibri ulteriori.

Nemmeno la “spending review” ha convinto troppo Beruxelles. Troppe incertezze e ripensamenti (alla Commission importa poco la tenuta del consenso popolare ai singoli governi), scetticismo esplicito sull’auto-amputazione del bilancio da parte dei singili ministeri, poco o nulla sulle privatizzazioni (viene ricordato come anche il collocamento sul mercato un’altra quota di Enel, pari al 5%, sia stata rinviata).

Tutto incerto, anche l’apprezzatissimo “jobs act”, di cui però – ammette lo stesso mandante europeo – sarà meglio attendere i decreti attuativi, visto che nella legge delega non c’è scritto granché.

La critica è insomma chiara: Matteo, sulla strada che ti abbiamo indicato stai andando troppo lento e senza rispettare troppo i nostri parametri. Se non ti metti in riga – smettendo di sparare stupidaggini su di noi – ti facciamo nero. Al tuo paese – e sappiamo che non te ne frega molto – ma anche a te.

 

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