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Grillo, traiettoria sbagliata

Altre due espulsioni da un movimento non farebbero notizia se non riguardassero il Movimento 5 Stelle, ovvero il tentativo più notevole di costruzione di un consenso antipolitico organizzato sul terreno politico. Espressione contraddittoria? Non per colpa nostra, ammettetelo.

Ormai saprete fino alla noia che i deputati Massimo Artini e Paola Pinna sono stati espulsi per “mancata rendicontazione” della destinazione dei loro emolumenti come parlamentari. I due, sembra, venivano annoverati  da qualche tempo nelle file dei dissidenti, e quindi deve esser sembrato facile “prendere due piccioni con una fava”: li accusano di non aver rispettato il regolamento del movimento, quindi di non aver versato parte del loro stipendio parlamentare nel fondo creato dai gruppi parlamentari cinquestelle a favore delle Pmi. 

Il blog di Grillo ieri mattina ha chiamato al voto la non enorme platea dei “militanti certificati” chiedendo perentoriamente: “Sei d’accordo che Pinna e Artini NON possano rimanere nel M5S? Vota ora!”.

Il pensiero binario non consente grandi distinguo né varianti sul tema. Quindi, a sera, quasi il 70% dei 27mila votanti aveva dato l’ok all’espulsione. L’autodifesa dei due parlamentari è altrettanto scontata, all’interno di quell’universo di pensiero: “Quello che dice il blog non è vero” e invitano a controllare sui loro siti personali quanto hanno restituito finora.

A noi, naturalmente, non interessa granché se sia vero o no che due parlamentari grillini si siano messi in tasca o no qualche migliaio di euro in più del pattuito col movimento. Mentre la modalità stessa dell’espulsione rimanda a problemi seri di “regolamentazione interna” in un movimento che si identifica con un “marchio registrato” di proprietà personale di un leader. Sia detto tra parentesi: erano molto più democratici i partiti comunisti d’oltrecortina, che – se non altro – facevano riferimento a una “proprietà collettiva” e non individuale della “ragione sociale”.

Ci interessa invece constatare come stia svanendo velocemente un enorme equivoco politico che ha catturato, negli ultimi due o tre anni (sembra un secolo, vero?) l’immaginario “alternativo” in  questo paese, sottraendo consensi a destra e sinistra, e unendoli in una miscela acida che sta squagliando anche il contenitore.

Anche perché riconosciamo tranquillamente che gli eletti del Movimento 5 Stelle hanno provato seriamente a fare il proprio dovere di oppositori in Parlamento. Con tutte le difficoltà e le ingenuità imputabili sia all’inesperienza che all’assenza di un progetto politico di trasformazione che andasse oltre le questioni puramente formali (onestà, risparmi, denuncia dlela casta, ecc).

Non solo. Si è parlato da parte loro di “referendum sull’euro”. Tema ovviamente interessante per chi, come noi, Ross@, parte del sindacalismo di base, settori crescenti di movimento, ha da tempo individuato nella “rottura dell’Unione Europea” un obiettivo di medio periodo necessario per riaprire una possibilità di trasformazione sociale radicale. Ricordiamo di aver promosso e depositato alla Camera – con Ross@ – una raccolta firme per un referendum di indirizzo su tutti i trattati che tengono insieme l’Unione Europea, quindi anche sulla moneta. La proposta di referendum del M5S è seria, se ne può discutere, e semmai con chi bisogna ragionarne per farlo davvero?

Le questioni di fondo sono insomma, ahinoi, sempre le stesse. Può esistere una “politica” indipendentemente da interessi sociali identificabili? Può esiste un “benessere del paese” identificabile con la “buona amministrazione”, l'”onestà”, la riduzione della sfera pubblica? Si può davvero “cambiare un paese” in crisi sulla base del “taglio delle spese della politica”?

No, naturalmente. Se è quello l’orizzonte (sul punto dell'”onestà” attendiamo le indagini della magistratura, che già stanno sfoltendo le fila dei fedelissimi al segretario-premier), Renzi va bene lo stesso. E chiunque altro, dopo di lui, possa agire in uno scenario istituzionale devastato: senza più una Costituzione antifascista e democratica, senza più corpi intemedi (partiti “partecipati”, sindacati, associazionismo), senza più equilibrio tra i poteri (parlamento ridotto a passacarte dell’esecutivo, magistratura “normalizzata”). La riduzione a zero dello Stato è da anni programma del capitale multinazionale e finanziario, tanto da aver promosso una lunga era di “trasferimento della sovranità reale” (la possibilità di autodeterminare il proprio destino economico e politico) a vantaggio di istituzioni sovranazionali impenetrabili per la “volontà popolare” (Unione Europea. Fondo monetario internazionale, Bce, le stesse agenzie di rating, ecc).

Aver pensato di poter cavalcare quest’onda reazionaria epocale è l’intuizione che accomuna Berlusconi, Renzi e Grillo. I primi due con forti agganci nella “costituzione materiale” fatta da banche, imprese, società segrete o palesi, con gembiulino o senza; il terzo – a quanto se ne sa – in quasi completa libertà, alla Masaniello. Non stupisce dunque che il Cavaliere sia durato venti anni, che Renzi stia ridisegnando la scena del teatro politico e il terzo si stia spegnendo come una candela.

Potremmo infierire a lungo su sciocchezze come i referendum in rete per risolvere problemi o domande che richiedono scienza e studi (molto) approfonditi; sui sistemi di selezione del personale “proveniente dalla società civile” (al confronto il casting imbastito da Renzi sul modello berlusconiano è certamente più efficace: tira fuori cloni di robot con tutti la stessa espressione, lo stesso frasario, lo stesso tic per il sorriso stereotipato, la stessa improntudine e indifferenza per l’argomentare altrui, la stessa fedeltà canina ai boss che ti hanno elevato allo scranno o al laticlavio, e che possono decidere del tuo destino in un attimo.

Il problema che ci resta – tutto da risolvere – è quello delle forme della rappresentanza politica in questo scenario devastato da tre leader extraparlamentari (e da un presidente della Repubblica decisamente “creativo” rispetto alle regole scritte della Costituzione). Sappiamo che esiste anche chi, davanti a un problema complicato, è abituato a girare la testa dall’altra parte, quindi a rifiutare il concetto stesso di rappresentanza (in questo, possiamo dire, ragionando da “grillino ante litteram“); ma non ci sembra interessante questa versione postmoderna della volpe alle prese con l’uva.

Lo sfarinamento del M5S crea insomma un vuoto di rappresentanza politica che, come in ogni sistema naturale (e anche i raggruppamenti umani lo sono) verrà certamente riempito da qualcun altro. La domanda che poniamo alla compagneria è insomma semplice: ci diamo forme di collaborazione tali da unire il massimo delle forze possibili nell’organizzazione della resistenza della nostra gente (lavoratori sotto ogni forma contrattuale, disoccupati, senza casa, migranti, pensionati, studenti, ecc) o continuiamo a bearci dei nostri piccoli collettivi “omogenei” mentre la destra fascioleghista conquista i nostri territori sociali?

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