La scena degli striscioni contro la madre di Ciro Esposito segna un salto di qualità – nella fogna – di cui è bene occuparsi sul piano politico. Perché è chiaro che il tifo calcistico, in questo caso, non c’entra nulla. Se non come teatro di uno spettacolo sceneggiato in altra sede.
La matrice culturale fascista è lampante sia nel linguaggio usato, sia nel bersaglio, sia negli obiettivi “culturali” (o culturisti?) di questa esibizione infame.
In pratica, con quegli striscioni, si pretendeva di delegittimare il ruolo pubblico, di testimonianza, di una madre che dopo aver perso il figlio in un agguato fascista – il killer, Daniele “Gastone De Santis, è un noto picchiatore nero della Capitale – perché protagonista di inziative pubbliche contrarie alla mortifera e deviante logica dello “scontro tra bande” con sede nelle curve. Interviste, un libro i cui proventi (tutti eventuali, visto quanto si legge ora in Italia) sono destinati alla beneficienza.
Nulla insomma che possa giustificare quel nazista “lucrare sulla sciagura” scritto in caratteri cubitali (con un font, anche questo, chiaramente adottato dai gruppi fscisti negli ultimi 30 anni) sugli striscioni dell’Olimpico, i cori sguaiati e – attenzione – condivisi da una parte della curva napoletana. Strano. Mentre ci scambiano sfottò e insulti, come da sempre negli stadi, si riesce a trovare una “consonanza” tra presunti opposti su una sola cosa: l’attacco alla madre.
L’uccisione di Ciro Esposito, va ricordato sempre, è avvenuta nel corso di un agguato a un pullman di tifosi napoletani che stavano raggiungendo lo stadio romano per la finale di Coppa Italia contro la Fiorentina. I “romanisti” non ci entravano insomma nulla, neanche volendo. Né si è trattato di un incidente casuale, come può avvenire tra gruppi di tifosi che si incontrano in un autogrill o davanti a un bar. No. Quello è stato un agguato in piena regola, organizzato, e sfociato in un omicidio quando uno degli assalitori si è visto raggiungere da un gruppo di aggrediti.
Perché contro la madre di Ciro? Perché non tace, non si è chiusa nel silenzio, non accetta di vivere solo privatamente una tragedia, ma la rende un fatto pubblico, capace – direttamente o indirettamente – di smuovere le coscienze. Di fatto, prende di mira o mette a rischio il business dietro le curve (dal controllo del merchandising allo spaccio di droga), che ci sembra il vero “oggetto da difendere” da parte dei fascisti “striscionari”.
L’unico paragone possibile è con il comportamento dei poliziotti aderenti al Coisp, sindacatino corporativo decisamente di destra, che hanno messo in piedi “presidi” intimidatori nei confronti della madre di Federico Aldrovandi, ucciso a botte da altri poliziotti. Stessa logica (“statti zitta”), stesso bersaglio, una madre distrutta. Che gli assassini, o gli amici e colleghi degli assassini, se la prendano con le madri delle loro vittime, cerchino di imporre loro il bavaglio dell’omertà… Ecco, questo è veramente il tratto che ci obbliga a qualificare come fascisti gesti come questi.
E non ci sorprende dunque più di tanto che, nei passaprola tra tifosi, emergano retroscena a loro modo “chiarificatori”. Cene comuni tra “tifosi” napoletani e romani, prima e dopo la partita, in un ristorante dell’Esquilino. A festeggiare il “successo mediatico” della loro infame operazione e poi, via, tutti insieme “la sera al ristorante di Gianluca”. Tanto pagano i fessi che si riforniscono da loro…
Il problema sono i fascisti, non le tifoserie.
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