“Civati è uscito dal Pd, i civatiani rimarranno. E comunque io guardo ad altri che per ora stanno in silenzio”. E’ laconica la conclusione dell’intervista di Pippo Civati al quotidiano online Lettera 43, ma forse è emblematica della “leggerezza” politica e progettuale del personaggio. In fondo Civati non ha niente di eccezionale: è rimasto fermo mentre il suo partito andava a destra. Ovvio che l’illusione ottica la veda collocato obiettivamente sulla sinistra. Ma basta questo per giustificare l’eccitazione pubblica e di sinistra sulla fuoriuscita di Pippo Civati dal Pd?
Le reazioni non si sono fatte attendere e, come al solito, l’aspettativa cresce, solleticando le congetture di una generazione politica e anagrafica da sette anni in cerca di rivincite ma che stenta a fare i conti con la nuova fase storica, con i nuovi rapporti di forza (immensamente sfavorevoli) e con la speranza inconfessata che tutto possa tornare come prima. Ma così non è e probabilmente non sarà.
La mancanza di coraggio politico nelle scelte da fare e che andrebbero fatte, si nasconde dietro la paura della solitudine, è il caso di Michele Serra che in una lettera a Civati dice “Preferiamo rassegnarci in compagnia che ribellarci da soli”. Non va troppo lontano Nichi Vendola quando, annunciando l’ennesimo superamento – questa volta di Sel – afferma che: “Non sono impegnato in un’opera di reclutamento nel mio contenitore. Mando un messaggio a tutti coloro che pensano che la solitudine dei lavoratori, la precarietà esistenziale dei giovani, la povertà disseminata siano la ragione sociale di una sinistra che non rinuncia ai progetti di trasformazione radicale. Dobbiamo uscire dal bivio: o un riformismo subalterno che smarrisce per strada il tema della giustizia sociale o un radicalismo che si contenta di testimoniare il disagio del mondo”. Non pare, ma anche Vendola non si discosta da Serra quando sotiene in fondo che il riformismo – e un progetto ad esso conseguente – sia l’unico orizzonte per la sinistra italiana e che chi guarda più in là fa solo testimonianza.
Infine c’è Paolo Ferrero l’attuale segretario del Prc. Nella newsletter di Rifondazione, Ferrero afferma che “L’uscita di Civati dal gruppo del PD – che salutiamo molto positivamente – è la prima risposta forte all’arroganza di Renzi. Adesso si tratta di dar vita ad una costituente della sinistra che metta in campo una alternativa alle due destre che hanno occupato l’intero spazio mediatico della politica italiana”. Ma le reazioni e i commenti all’intervista del segretario del Prc non sembrano molto entusiasti della prospettiva.
E’ ancora presto per azzardare ipotesi compiute. Tra venti giorni si vota in alcune regioni importanti (Campania, Veneto, Liguria, Marche etc.) e i risultati – per quanto a macchia di leopardo per il perdurare delle specificità locali su un progetto nazionale – indicheranno i margini di concretizzazione o meno delle aspettative e della eccitazione circolante. Non solo. Tra le malefatte dell’Italicum c’è un aspetto che alimenta invece delle aspettative a sinistra: quella soglia di sbarramento abbassata al 3% che rende abbordabile il superamento del quorum anche per un rassemblement a ranghi ridotti. Niente che possa preoccupare il Pd nè erodere i consensi conquistatisi dal M5S, al quale va riconosciuto obiettivamente un atteggiamento dei gruppi parlamentari coerente con quella che dovrebbe essere una vera opposizione nelle sedi istituzionali.
Quello che si può affermare già da adesso, è che la sinistra residua nel nostro paese si vede ancora come “sinistra di governo” e dunque lo spazio che vorrebbe occupare altro non è che lo spazio riformista. Qualcuno, come Ferrero, alimenta il mito di una Syriza italiana o di Podemos ma è una narrazione fuori bersaglio. Sono due cose diverse tra loro e soprattutto diversissime dagli innumerevoli contenitori prodotti in serie dalla sinistra italiana dall’Arcobaleno del 2008 a oggi. Contenitori appunto, sui contenuti sembra di vivere ancora in un’altra epoca: quella di una volta.
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