Quando un governo come questo dice “più libertà” aspettatevi meno tutele, soldi, dignità.
La certezza è arrivata ieri sera, al termine di una giornata caratterizzata da un fuoco mediatico concentrato sul sistema pensionistico italiano. Da “abbattere”, nell’incidenza sul Pil, così come fatto da tutti i paesi Piigs e con problemi di bilancio. E non importa quanto sia stato già tagliato. L’oobiettivo, ormai è chiaro, è limitare l’assegno pensionistico medio a un reddito minimo, a prescindere dalle carriere contributive.
Quando Renzi, seduto davanti a Vespa (la “terza Camera”) ha detto la sua – «Nella legge di stabilità stiamo studiando un meccanismo non per cancellare la Fornero ma per dare della libertà in più se accetti di prendere un po’ meno, quei 30 euro: liberiamo dalla Fornero quella parte di popolazione italiana che, accettando una piccola riduzione, può andare in pensione con un pochino in più di flessibilità» – tutti sono andati a guardare “quanto” in meno verrebbe tolto in cambio di due o tre anni di anticipo rispetto alla data-monstre indicata dalla lege Fornero.
E qui i numeri divergono, a seconda delle indiscrezioni, ma si oscilla tra il 2 e il 30% in meno. Altro che “30 euro” al mese, cui ogni ultrasessantenne ambosessi rinuncerebbe volentieri pur di andarsene a casa.
I calcoli sono complessi, naturalmente, ma solo nascondendo i tagli sotto una coltre di termini e numeri incomprensibili che si può prendere seriamente per il sedere gli astanti.
In primo luogo: se un certo numero di lavoratori sceglierà di andarsene prima, si porrà un problema di bilancio per l’Inps. Ci saranno subito più pensioni da pagare, mentre entreranno meno contributi. Anche i giovani che eventualmente saranno assunti al loro posto, infatti, avranno uno stipdendio inferiore – magari con l’azienda che non versa neanche i contributii grazie all'”incentivo” governativo di quasi 8.000 euro annui in caso di assunzione con il contratto indeterminato “a tutele crescenti”. Con il rischio che Bruxelles, oltretutto, abbia da eccepire sull’oerazione.
Allo studio, perciò, ci sono due modi di “risparmiare”: o si riduce l’assegno pensionistico degli “anticipanti” di almeno il 3% per ogni anno rispetto al limite forneriano (comunque mai prima dei 62 anni di età), con una perdita media del 15%. Oppure si calcola l’assegno totalmente con il metodo contributivo, sostituendolo al “retributivo” per tutti gli anni precedenti alla rifoeìrma Dini del 1996. In questo modo la pensione può diminuire addirittura di un quarto. Di fatto, “converrebbe” soltanto a chi è rimasto senza lavoro e senza ammortizzatori sociali e non ha altri redditi con cui sopravvivere.
Ma questa mannaia, riguardante soltanto coloro che dovessero scegliere un’uscita anticipata rispetto alla Fornero, potrebbe essere considerata non sufficiente. Carlo Cottarelli, funzionario Fmi nominato per un anno circa “commissario alla spending review” e poi tornato a Washington per diventare “controllore” dell’Italia per conto del Fondo, aveva aperto la questione in termini ben più generali: «La spesa per pensioni in Italia è pari al 16,5% Pil, la più alta tra paesi avanzati. Troppo. Rimane il fatto che l’Italia ha un debito pubblico molto elevato e, a parte le regole Ue da rispettare, se i tassi salissero sarebbe un problema. C’era poco spazio per per spendere di più».
Messa così, è l’intero sistema pensionistico a dover essere rivisto per portare la spesa complessiva a livelli minori. IlSole24Ore, organo di Confindustria, spara in prima pagina “46 miliardi, il conto del retributivo”. Sarebbe la spesa annua in eccesso, risarmiabile col ricalcolo contributivo per le 14 categorie di pensionati che riceverebbero più di quanto ganno versato. Ma andando a guardare il prospetto riassuntivo, si scopre che il grosso della spea è causato dagli “ex dirigenti d’azienda”, capaci di far fallire il proprio istitituto di previdenza (l’Inpdai) grazie ai contributi troppo bassi e agli assegni pensionistici troppo alti. Quando l’Inpdai ha chiuso, la sua gestione passiva è stata scaricata sull’Inps. Con risultato che i lavoratori dipendenti continuano ad arricchire i dirigenti anche da pensionati…
Nel mirino degli industriali ci sono però anche i ferrovieri (tacendo del fatto che, per esempio, l’aspettativa di vita media di un macchinista è di 58 anni, e quindi era normale – ante-Fornero – che venissero obbligati ad andare in pensione a quell’età), gli elettrici e i telefonici. Tutta gente che passa la sua vita lavorativa tra cami elettromagnetici fortissimi e quindi veniva “premiata” – al pari dei minatori e altri lavori usuranti – con un’età di pensionamento più bassa.
L’aspetto più ignobil di questo attacco concentrico è però, come sempre, nella retorica usata. Il prossimo taglio delle pensioni, infatti, viene già ora giustificato come un “riequilibrio verso l’equità integenerazionale”. Toglieranno ai padri senza dare un centesimo di più ai figli. Com’è già avvenuto con la precarizzazione dei contratti di lavoro.
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