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Le finte riforme di Renzi: il falso in bilancio

 Se uno segue le dichiarazioni, non capisce un tubo. Se uno guarda al merito delle “riforme” del governo Renzi, tuto diventa chiarissimo.

Il governo si autocertifica come “duro” con chi viola la legge, con i furbetti che corrompono, che evadono il fisco, ecc. La prassi legislativa che ha messo fin qui in atto certifica invece il contrario.

L’esempio del “falso in bilancio”, reato esistente in qualsiasi paese capitalista perché mina alla base il principio della “libera concorrenza” tra imprese”, oltre che l’equità fiscale, è perfetto per lo scopo. Reato cancellato non a caso da Berlusconi – le cui aziende sono state storicamente sotto tito della Guardia di Finanza per questo ed altri “maneggi” – e trasformato in una “infrazione” punibile con una semplice ammenda, è diventato qualche mese fa una bandiera del “cambiare verso” renziano. “Abbiamo ripristinato il reato”, strombazzava la grancassa governativa, mentre anche qualche giornale mainstream – di certe cose se ne intendono molto più di noi miserabili lavoratori dipendenti – provava timidamente a far notare che c’era qualche buco un po’ troppo largo in quella legge. 

L’analisi tecnica la lasciamo volentieri all’articolo di Ferrarella sul Corriere di oggi, che qui di seguito alleghiamo. Quel che ci preme sottolineare è invece il metodo di governo dell’attuale esecutivo. La menzogna è connaturata al potere, e non sono certo questi i primi governanti a farsi beffe del popolino. Ma raramente, anche nel potere più infame, si ha un rovesciamento così sistematico del senso.

Qualsiasi cosa dicono, insomma, potete star sicuri che è vero il contrario. A meno che,come nel caso della scuola, non parlino col linguaggio del ricattatore.

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La Cassazione e la nuova legge: falso in bilancio più debole

Luigi Ferrarella

Una sentenza della Cassazione, annullando ieri sera la condanna per bancarotta a 6 anni e 9 mesi dell’ex sondaggista di Berlusconi, Luigi Crespi, avverte in controluce che la nuova legge sul falso in bilancio, in vigore da appena 48 ore, non solo non sarà in grado di punire quasi più alcun serio caso di falso in bilancio, ma anche che sta già iniziando a falciare i processi in corso. Con il paradosso quindi che la nuova legge, rivendicata dal governo Renzi come ripristino della portata penale del reato depotenziato nel 2002 da Berlusconi, ha invece l’effetto pratico contrario di cancellare anche quel poco che era rimasto.

Tutta colpa di quattro parole – «ancorché oggetto di valutazioni» – che in marzo un emendamento governativo eliminò dall’iter di approvazione della norma, lasciando fuori dal perimetro di ciò che è reato i casi più frequenti e insidiosi di falso in bilancio: che ovviamente non sono quelli grossolani nei quali si comunica di avere ciò che palesemente non si ha, ma sono quelli raffinati nei quali si dichiara di possedere qualcosa stimato a un valore in realtà sballato se tarato correttamente alla luce del Codice civile, dei principi contabili nazionali elaborati dagli appositi organismi, e degli standard internazionali Ias/Ifrs. Magazzini, ammortamento dei crediti o stime immobiliari sono tipiche «valutazioni», alle quali persino la deprecata legge Berlusconi conservava almeno un minimo di punibilità se si scostavano dalla realtà per più del 10%.

Il problema era stato segnalato su queste colonne il primo aprile, prima dell’ultimo voto sulla nuova legge che ha rialzato la pena sino a 8 anni di carcere (la più alta d’Europa, meno solo degli Usa), eliminato le soglie quantitative (5% del risultato economico, 1% del patrimonio, 10% delle stime), introdotto la procedibilità d’ufficio anziché a querela, e incluso anche le holding di controllo e le società che raccolgono risparmio. Tutte cose ottime. Ma, nel contempo, un caso da manuale di diritto simbolico. Perché questo formidabile arsenale – si notava – sarebbe rimasto pressoché inutilizzato visto il buco nella condotta-reato descritta dalla legge. Veniva infatti approvato un testo che puniva chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, «consapevolmente» espone «fatti materiali non rispondenti al vero». Era qui che si scorgeva già il problema: rispetto al testo precedente la formulazione «fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero» perdeva infatti il successivo inciso «ancorché oggetto di valutazioni», che invece c’era nel residuo falso in bilancio dell’era Berlusconi (con soglia fissata al 10% delle stime). E appariva difficile sostenere che fosse una svista o una dimenticanza, giacché questo inciso c’è ancora nella norma che la relazione governativa asseriva di aver ripreso come dichiarato parametro (l’art. 2638 sul reato di ostacolo alle funzioni dell’autorità di vigilanza), e c’è ancora nei reati tributari della legge 74/2000.

Le segnalazioni caddero nel vuoto, in Parlamento nessuno argomentò né a favore né contro, la legge fu approvata così, e la sua entrata in vigore fissata a lunedì 15 giugno. Venerdì 12 giugno la Cassazione si trova a esaminare la condanna di Crespi per bancarotta del suo gruppo Hdc, dissesto cagionato in larga parte da moltissimi falsi in bilancio per valutazioni. Gli avvocati (Elia, Chiappero, Rossodivita e Sisto) fanno presente che fra 48 ore entra in vigore la nuova legge sul falso in bilancio, che a loro sembra non ammettere più le valutazioni tra gli elementi costitutivi del reato.

A questo punto la Cassazione rinvia da venerdì a ieri, e in serata esce con un verdetto che annulla senza rinvio, cioè definitivamente, i segmenti di bancarotta di Crespi riconducibili ai falsi in bilancio per valutazioni, mostrando con ciò di ritenere appunto che la nuova legge non le ricomprenda più nel perimetro di reato (e che dunque l’imputato non possa essere condannato né riprocessato per qualcosa che oggi non è più reato). Via i 6 anni e 9 mesi di Luigi Crespi, i 4 del fratello Ambrogio e i 3 della moglie Natascia. Passa in giudicato solo la piccola porzione di pena (da rideterminare in un nuovo Appello) che si regge su una residua imputazione di falso in bilancio per fatti materiali.

 

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