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Calcio Napoli e stadio S. Paolo: infuria la polemica tra ADL e De Magistris

A Napoli infuria la polemica tra l’Amministrazione Comunale e il presidente del Calcio Napoli in merito al futuro gestionale dello stadio. Una polemica, molto seguita e discussa in città, tutt’altro che riconducibile alla sola questione amministrativa ma riconducibile, immediatamente, al tema della proprietà pubblica delle strutture comunali, all’idea di sport ed alla necessaria fruizione libera e popolare ed all’insieme dei processi che, generalmente, vengono definiti di critica al “calcio moderno”.
Su questi temi la redazione napoletana di Contropiano.org apre una discussione pubblica con un primo contributo di Pietro Rinaldi.

La redazione napoletana di Contropiano.org

In futuro uno stadio per ricchi. Per adesso uno stadio (quasi ) gratis!

di Pietro Rinaldi, consigliere comunale di Napoli 

La discussione intorno alla convenzione per lo stadio San Paolo sembra essere affare esclusivo tra il comune di Napoli e la società sportiva. Peggio polemica riservata tra il sindaco e De Laurentis. Non è così. Riguarda l’intera città e riguarda l’idea del rapporto tra pubblico e privato. E’ una discussione, come tutte quelle di rilevanza pubblica e sociale, che meriterebbe il protagonismo, il coinvolgimento e la partecipazione dell’intera città ed in particolare dei suoi protagonisti politici e sociali. Cosa si sta discutendo? Sostanzialmente l’importo che la società sportiva sarebbe tenuta a corrispondere al comune per la concessione dello stadio, ossia di un bene del patrimonio immobiliare pubblico e quindi di tutti i cittadini. Piaccia o no, insieme alla passione sportiva così viva nella città, il calcio è una delle macchine più redditizie al servizio delle grandi lobby pubblicitarie e televisive. Un affare per intenderci.
La convenzione precedente tra il comune di Napoli e la società sportiva era unanimemente giudicata, come un atto sostanzialmente “di vantaggio” per il contraente privato. Ciò era dovuto a fattori, che se storicizzati (la squadra cittadina salvata dal fallimento e recuperata al calcio che conta), potrebbero anche giustificare la scelta del passato. Ma nel contesto attuale appaiono insopportabili. Ciò che in consiglio comunale si sta chiedendo all’amministrazione è che la nuova convenzione (anche se temporanea), venga adeguata sostanzialmente ai parametri italiani. La proposta della giunta che in particolare sul canone annuo fissa il tetto a circa 650.000,00 euro appare incongruo. Perché? Senza essere maliziosi e rifacendosi semplicemente al parere tecnico di accompagnamento alla delibera si legge che: “…sostanzialmente, il criterio adottato sia quello della mera copertura dei costi sopportati dall’Ente…”, per cui (tra l’altro contra legem), l’ente pubblico rinuncia e determinare un ricavo legittimo dalla concessione di un bene del suo patrimonio e di tutti i cittadini.

Ora il San Paolo potrebbe anche essere un “cesso”, come afferma un po’ maleducatamente il presidente, però quel “cesso” gli garantisce comunque quegli introiti formidabili, costituiti dalla pubblicità, dai diritti televisivi e dal fatto che il San Paolo è sempre tra gli stadi più importanti per incasso annuale nel nostro paese. Quindi, perché rinunciare alla redditività di un bene pubblico che in pratica viene commercializzato da chi lo utilizza? Perché i cittadini dovrebbero rinunciare ad un introito legittimo dalla concessione di un bene pubblico? Perché dovrebbero limitarsi semplicemente a coprire i costi del suo utilizzo?

E’ chiaro che lo scontro con l’industria del calcio non è semplice, eppure si gioca qui una vicenda non secondaria nella relazione tra il pubblico e un potere forte privato, che non è De Laurentis naturalmente, ma proprio quel calcio moderno che leggiamo sugli striscioni delle curve italiane. Proporre quindi l’aumento del canone è un legittimo dovere di chi deve tutelare gli interessi generali dei cittadini. Che poi insieme a questo la città dovrebbe poter essere chiamata in causa, per esempio, anche sulla proposta di riammodernamento dell’impianto, è del tutto legittimo, anzi un dovere per chi amministra.

Proporre di diminuire la capienza dello stadio dai 62.000 circa di oggi ai 41.000, porta a pensare documentandosi un po’, che la proposta della società è quella di avere uno stadio (pubblico), che mira alla selezione d’èlite dello spettatore. E’ quello che sta avvenendo in tutta Europa e che in Italia (vedi le numerose leggi che colpiscono il tifo organizzato), punta ad una nuova dimensione della passione calcistica, trasformando il tifoso in spettatore, ma soprattutto in spettatore elegante e con le tasche piene di denaro, da spendere nei nuovi “non luogo” che vorrebbero far diventare gli stadi italiani. Anche se l’argomento potrebbe apparire solo per gli addetti ai lavori, si gioca anche qui, una battaglia di democrazia.

Per questo ritengo che sia importante che la città sia ascoltata, ma che soprattutto si faccia sentire, perché in gioco come sempre vi sono gli interessi dei pochi a danno degli interessi dei molti. Francamente mi aspettavo che l’amministrazione fosse più sensibile a questi temi, ma rimango ancora fiducioso che si possa far prevalere l’interesse pubblico su quello privato.

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