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E’ nata Sinistra Italiana. Per fare cosa?

Festa grande, come nelle speranze, per la presentazione di “Sinistra Italiana”, ennesimo contenitore politico-elettorale per riunire molti dei volti che sono scomparsi dai radar mediatici da parecchio tempo e molti altri che – appena usciti dal Pd – sanno benissimo di rischiare la stessa sorte in poche settimane. Un lungo elenco che va da Vendola a Fassina, dai neo-fuoriusciti D’Attorre e Galli a Civati, da Cofferati a Corradino Mineo, dal redivivo Giordano a Paolo Ferrero.

Molta gente, persone che non riescono a entrare nel teatro Quirino, una domanda di rappresentanza non marginale, discorsi speranzosi come se ne sentono ogni volta che si deve presentare un “nuovo inizio”. Molti buoni propositi, come ridare spazio e diritti al mondo del lavoro, metter fine alle politiche di austerità, mandare in soffitta le deformazioni anticostituzionali di Renzi & co., ecc. Ma… Uniti da cosa e per fare che?

Diversi compagni, “sciolti”, ci hanno chiesto nei giorni scorsi il perché della nostra stroncatura di questo tentativo, qualcuno anche accusandoci di preferire la solitudine dei “pochi ma buoni” all’immersione nelle “differenze” di una massa più vasta.

Diciamola così. A tutti piace essere in tanti, anche a noi. A tutti piacerebbe stare in un movimento e/o un’organizzazione vasta, socialmente innervata, coerente e determinata, necessariamente polifonica nelle sue capacità di espressione e ricerca. E anche noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di costruirla, incazzandoci silenziosamente ogni volta che altri compagni bravissimi, ostinati tessitori di conflitto sociale e lotta politica, si fermano un attimo prima di approfondire i rapporti, unire le forze, assumere una visione più ampia, nutrire ambizioni politiche all’altezza della situazione. Anche noi ci confrontiamo ogni giorno con la “differenza” a volte gigantesca tra livelli di consapevolezza ed esperienza politica, passività della parte maggioritaria di quanti pure soffrono un peggioramento quotidiano delle condizioni di vita, con l’entropia della politica di questi tempi.

Dappertutto vorremmo avere e vedere più capacità unitaria, sguardo lungo e piedi per terra. Davanti a ogni proposta – altrui o nostra – ci poniamo infatti come prima domanda: prendiamo pure questa o quella iniziativa, ma per fare cosa?

È la stessa domanda che poniamo a chi ha animato o anche solo condiviso la giornata iniziale di “Sinistra Italiana”. Si tratta di un movimento-partito politico, che ha ancora numerosi parlamentari, che parteciperà certamente alle prossime elezioni amministrative. Ma non è questo che stiamo chiedendo e non è questo che ci scandalizza.

La domanda per fare cosa? forse è più chiara se si esce dagli sproloqui propagandistici – pardon, dalle formule della “comunicazione” – e si resta sul concreto.

Mettiamo il caso che questa formazione riesca nella storica impresa di vincere le elezioni politiche (se e quando ci saranno) e arrivare alla formazione di un governo di “sinistra italiana” (con l’Italicum non avrebbe neanche la necessità di fare una coalizione snaturante); cosa pensa di poter realizzare dopo essersi seduta davanti a Schaeuble e Dijsselbloem ed essersi sentita rispondere “non avete capito bene, qui comandiamo noi e questo è il programma di riforme che dovete realizzare alla luce dei trattati che uniscono tutti nostri paesi”? Come pensa di governare l’Italia se la Bce – come ha già fatto con la Grecia – stringe i rubinetti della liquidità e costringe la popolazione a lunghe file davanti ai bancomat, mentre i ricchi portano i soldi a Lugano o Londra? Come pensa di reagire davanti alla minaccia di esser buttati fuori dall’Unione e dalla moneta unica?

Sono domande semplici e concrete, assolutamente “non ideologiche”, perché questo film lo abbiamo già visto e sofferto con il governo Syriza 1.0. Abbiamo visto un referendum vittorioso contro il memorandum della Troika e la resa a meno di 24 ora da quella vittoria.

Ecco, a tutti coloro che giustamente parlano di unire la sinistra di questo paese per farla finita con l’austerità, il potere delle banche e delle multinazionali, con le clamorose ineguaglianze sociali e la distruzione dei diritti del lavoro, con lo scempio della Costituzione e delle pensioni, della sanità e dell’Università… sinceramente a tutti chiediamo di dare una risposta altrettanto semplice e chiara.

Sentirsi rispondere, come è stato fatto anche oggi, che “siamo alternativi agli happy days di Renzi” e quindi “andremo alle elezioni da soli dove siamo abbastanza, insieme a Renzi dove altrimenti restiamo fuori”, non è esattamente la risposta che avremmo voluto sentire.

Sentirsi dire che “vogliamo essere una sinistra di governo” fa cadere le braccia e l’attenzione al di sotto di qualsiasi soglia. “Sinistra di governo” è slogan da anni ’80, non significa nulla. Se non che ci si mette a disposizione per “coalizioni” che verranno escluse dalla stessa legge elettorale (almeno al primo turno). Ma soprattutto perché il “programma di governo” è già scritto, chiunque vinca.

Le risposte già date, insomma, sanno un po’ troppo di tentativo di presa per il culo da parte di piazzisti spiazzati da un piazzista più bravo e che non sanno più che pesci prendere, ma sentono l’asfissia salire alla gola.

E noi, come tutti gli sfruttati di questo paese, siamo stufi di furbetti ansiosi solo di restare nel giro delle poltrone.

 

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