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Bologna, “the day after”

Una giornata di lotta importante quella di ieri, in cui si è sostanziato un passaggio necessario a cui tutti noi abbiamo lavorato in queste settimane, intenzionati a costruire una presenza importante di quei soggetti politici nazionali consapevoli dei tanti fronti della lotta di classe, risucendo a collegarli in una piazza animata dai semi del blocco sociale conflittuale felsineo. Un momento importante in un autunno politicamente tanto freddo quanto mai prima.

Ma partiamo dall’altra piazza, quella delle poche migliaia di più o meno affezionati che hanno applaudito i loro leader su un “crescentone” (il rilievo centrale di Piazza Maggiore a Bologna) pieno a metà, dopo mesi di chiamata alle armi, tenuti tutti insieme dal maxischermo su cui Valentino perdeva il motomondiale per un soffio.

Berlusconi richiama la foto di famiglia del ’94, quando proprio da un ipermercato dell’hinterland bolognese aveva lanciato il progetto elettorale con cui si sostanziava uno dei soggetti politici protagonisti della Seconda Repubblica, quel trio Silvio, Umberto, Pierferdi che avrebbe governato a lungo (…è bene ricordarlo anche a un Salvini la cui memoria è limitata alla durata dei suoi interventi in tv e all’apparizione dei suoi tweet). Ma, politicamente parlando, qua inizia e anche finsice l’analogia con la situazione attuale.

L’evidenza di ciò non è data tanto dai fischi (mossi dalla noia, più che dalla contestazione) piovuti sul Cavaliere, dal tablet con cui si accompagnava Salvini contro il più tradizionale grande foglione di Berlusconi, ma è tutto sintetizzato in un’altra battuta: l’ex premier ripropone più e più volte la nota centrale del suo programma di governo, l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa. Ecco, considerando che fra pochi giorni questa disposizione sarà realtà come voluto questa estate dal governo Renzi, e tralasciando l’età che certamente non aiuta più Berlusconi a orientarsi con agilità nel panorama attuale, possiamo constatare solo una cosa: la destra, quella così retriva da opporsi anche alle patrimoniali, è già al governo. La costruzione del Partito della Nazione, capace da solo di abbracciare l’arco politico che va dalle rivendicazioni dei diritti civili di una sinistra che altrimenti si organizza nella solita “cosa rosa” destinata al fallimento, fino alle rivendicazioni del fu centrodestra, è tenuta insieme dal perno centrale dello smantellamento di ogni residuo della costituzione materiale su cui si poggiava il compromesso di classe dal dopoguerra in poi. L’Unione Europea, e l’agenda politica dettata dagli interessi del grande capitale multinazionale e finanziario, sono entrate nelle nostre vite, e il PD ne è il suo vettore nazionale.

Questo ci dice qualcosa sulla giornata di ieri, a partire appunto dalla piazza della nostra controparte. Ci dice che la “tigre di carta” di Berlusconi non è più lo spauracchio a destra contro cui lanciare la nostra indignazione, perchè oggi un carrarmato d’acciaio ha già invaso le stanze del potere. Ci dice che chi aveva realmente dalla sua gli strumenti, la classe dirigente e l’appoggio trasversale per completare la normalizzazione dell’ “anomalia italiana” era quel PD oggi al governo: e allora Salvini, l’uomo e il partito a cui ieri è stata consegnata definitivamente la staffetta della leadership della destra reazionaria, chi e cosa rappresenta? E’ il rappresentate italico di quell’eurofascismo che caratterizza formazioni come il Front National, la voce arrabbiata di quel segmento di borghesia momentaneamente sconfitta dalla costruzione dell’entità statuale europea. Essa non si gioca realmente la competizione per il comando, al quale qualora giungesse non avrebbe comunque bisogno di imporre brusche sterzate rispetto al corso attuale (sebbene un fascioleghista al posto di Alfano non sia proprio un desiderio a occhi aperti per chi pratica il conflitto sociale in questo paese…). Basti vedere l’atteggiamento molto più conciliante di Lega&Co. manteuto nei confronti delle istituzioni europee dopo l’insediamento del governo Syriza 1.0. Questa compagine, sociale e politica, tende a serrare però ugualmente le fila, cercando di imprimere la sua funzione sul governo attuale, quella di accelerare la lotta di classe dall’alto contro il mondo del lavoro e del non lavoro, senza badare a fronzoli del politically correct e legittimando la definitiva chiusura degli spazi democratici, mentre tenta allo stesso tempo di raccogliere consensi tra le fasce popolari, nelle quali la sinistra di classe non è mai stata così debole. Una funzione quasi istituzionale dell’eurofascismo, e per questo tanto legittimata dai suoi (presunti) competitor attualmente al potere.

Una situazione che ha quindi molto di nuovo, e che ha visto necessaria la costruzione di una piazza che sappia fare dell’antifascismo un elemento cardine dell’identità del futuro soggetto politico capace tanto di rappresentare gli interessi popolari quanto indicare il punto più avanzato sul piano della rottura con le compatibilità del presente, quel soggetto assente e di cui abbiamo urgente bisogno. Declinare oggi l’opposizione alle destre nello scenario reale che abbiamo di fronte è un elemento ulteriore su cui chiamare a raccolta le periferie metropolitane e le periferie d’Europa, perché escano dal ghetto e possano trovare una linea comune con cui riproporsi come soggettività con interessi sociali specifici che trovino quantomeno modo di esprimersi nell’agone politico, se non sono al momento certamente attrezzatte per imporre la lora linea.

Tanti sono stati i modi e le forme in cui si è materializzato il dissenso nella giornata di ieri, e ancora una volta il dato più importante con cui ci troviamo a fare i conti è la palesazione di un’eccedenza popolare non inscrivibile nei ristretti cerchi dell’antagonismo organizzato, così come avevamo avuto modo di dire dopo l’importante mobilitazione romana del 28 febbraio. Un senso comune fondamentale e dal quale ripartire, palesatosi ad esempio in proteste spontanee di singoli e gruppi contro i leghisti che scorrazzavano in città e intorno alla piazza. Un’identità politica che si è dimostrata da un lato più avanzata della miopia di chi non è voluto scendere in piazza (pensando forse che opporsi al fascioleghismo non sia necessario in un contesto di crisi sistematizza dalle tecnocrazie europee), e dall’altro più conflittuale di chi pensa di poter costruire l’opposizione al costituendo blocco reazionario sulla base del mero antirazzismo e antifascismo annacquati per risultare accettabili alle orecchie di una composizione sociale diversa da quella a cui pensiamo ci si debba rivolgere per tentare percorsi di rottura.

Noi ripartiamo da qui, soddisfatti per quel che è stato fatto con i tanti che si sono messi a disposizione di un percorso interessante, impazienti di costruire molto di più e di andare sempre più in là, unica condizione per tornare a essere “utili” al blocco sociale che pretendiamo di organizzare.

Non possiamo che chiudere dimostrando tutta la nostra solidarietà ai fermati durante le proteste di ieri.

Rete dei Comunisti

Collettivo Putilov (Firenze)

Campagna nazionale Noi Restiamo

Rete nazionale Noi Saremo Tutto

Rossa – movimento anticapitalista

Fronte Popolare

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