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Polizia di frontiera comune e impronte digitali obbligatorie? E’ l’Europa bellezza!

Abbiamo più volte scritto in passato che l’Unione Europea, data sempre per morta o moribonda ad ogni segnale di crisi, in realtà è stata capace in questi anni di rafforzare il processo di concentrazione del potere, di gerarchizzazione dei livelli decisionali e di consolidamento delle istituzioni comuni proprio grazie alla gestione dei problemi che di volta in volta si sono presentati. E’ stato così per la crisi estiva con la Grecia, che ha rilanciato le aspirazioni ordoliberiste di Berlino e soci; e poi ancora con gli attacchi a Parigi ed in altre capitali europee, che hanno creato il terreno per l’accelerazione sul piano militare e di sicurezza comune; sta accadendo di nuovo ora in tema di ‘controllo dei flussi migratori’.
Con una decisione di un cinismo spettacolare l’Ue ha recentemente deciso di appaltare alla Turchia di Erdogan – quella che sostiene i jihadisti in tutto il Medio Oriente, arresta giornalisti e attivisti politici e bombarda le città curde – il compito di frenare e gestire i flussi di profughi che altrimenti si riverserebbero in maniera incontrollata all’interno dell’Unione Europea. Il tutto in cambio della modica cifra di 3 miliardi di euro – solo per iniziare – e della concessione ad Ankara dello statuto di paese sicuro, che permetterà ai cittadini turchi di entrare nello spazio Schengen senza più sottostare al rigido sistema dei visti finora in vigore.
Parallelamente, però, la Commissione Europea ha proposto una modifica al codice dell’accordo di Schengen per rendere obbligatori i controlli sistematici sui cittadini comunitari sia in entrata sia in uscita alle frontiere esterne, il tutto in nome della “lotta contro il terrorismo” e del contrasto alla minaccia rappresentata dai foreign fighters di ritorno dalla Siria o dall’Iraq. 
Ma non basta. Il provvedimento più importante infatti riguarda la creazione di una Guardia di Frontiera e di una Guardia Costiera dell’Unione Europea, forti all’inizio di circa 1500 effettivi, alle quali deputare il controllo dei confini esterni. Un organismo di polizia comunitario, attrezzato ad essere mobilitato nel giro di massimo due, tre giorni, e con una catena di comando centralizzata almeno parzialmente indipendente da quelle dei singoli paesi dove pure gli agenti interverranno. Secondo quanto riferito dal Consiglio dei Ministri la nuova agenzia avrà anche un ruolo di monitoraggio e supervisione e potrà quindi stabilire se un Paese sta affrontando adeguatamente o meno i compiti che gli vengono assegnati dall’Ue.
Secondo la proposta dell’establishment continentale, se uno Stato non sarà in grado di controllare a sufficienza le proprie frontiere “mettendo in pericolo l’area Schengen”, la Commissione potrà decidere azioni urgenti e imporle al paese membro anche contro la sua volontà. Il nuovo organismo di polizia avrà inoltre la possibilità di inviare ufficiali e lanciare operazioni congiunte con paesi esterni alla Ue anche sul territorio di questi ultimi, e al suo interno costituirà un “Ufficio europeo per i rimpatri” incaricato di gestire e accelerare le espulsioni dei migranti che non si vedranno riconoscere il diritto d’asilo.
Chi è che continua a dire che l’Unione Europea è un castello di carte, una costruzione fantasmagorica inventata da qualche gruppetto di mattacchioni che insistono sulla pericolosità dell’imperialismo europeo?
«La gestione delle frontiere esterne d’Europa diventerà una responsabilità europea nel suo vero significato», ha chiarito il commissario Ue agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos. «In un’area di libera circolazione senza frontiere interne, la gestione dei confini esterni è una responsabilità condivisa» gli ha fatto eco Frans Timmermans, il vice presidente della Commissione europea.
Nel frattempo Bruxelles si sta già premurando di applicare la propria dottrina accanendosi contro il governo italiano, invitato caldamente a prendere le impronte digitali di tutti i profughi anche con metodi coercitivi, e ad accelerare l’apertura dei cosiddetti ‘hotspot’, termine eufemistico che sta per centri di raccolta per immigrati.
Sull’immigrazione, l’Unione Europea mostra il suo volto feroce, senza infingimenti. Sembrano lontane anni luce le immagini dei profughi siriani che puntavano su Berlino marciando dietro la bandiera blu con le stelle gialle, accolti da applausi nelle stazioni austriache e tedesche. Se è vero che proprio in questi giorni Frau Merkel ha affrontato e sconfitto la fronda reazionaria all’interno della Cdu che pretendeva un suicida ‘basta immigrazione’ – e chi ci va a lavorare nelle fabbriche e nei servizi tedeschi? – è altrettanto vero che il discorso del Primo Ministro non è più quello di qualche mese fa. Il ‘venite tutti, vi accoglieremo a braccia aperte’ è diventato un più realistico e cinico “lasceremo entrare chi ci fa comodo, gli altri li rispediamo a casa, anzi grazie alla Turchia non li facciamo proprio arrivare”. La Cdu, come del resto il governo di coalizione con i socialdemocratici, sposa quindi la linea delle frontiere permeabili ma a condizione che il controllo sia ferreo e che le autorità tedesche e comunitarie possano aprire e chiudere il rubinetto a proprio piacimento.
Eppure, paradossalmente, proprio mentre l’Unione Europea diventa più autoritaria e restrittiva in tema di immigrazione adottando alcuni dei provvedimenti caldamente difesi dai paesi dell’est, le nuove ‘proposte’ della Commissione Europea hanno scatenato una ridda di polemiche proprio tra i partner del versante orientale del continente. Che nella trasformazione di Frontex in un corpo di Guardie di Frontiera ci vedono una indebita ingerenza di Bruxelles nella sovranità nazionale dei singoli stati. Sovranità nazionale? Roba da nostalgici che non si sono forse ben resi conto che il progetto europeo mira alla costituzione di un sovrastato, e in prospettiva di uno stato tout court, che non vorrà e non potrà rispettare certo le sovranità nazionali di 28 o prima o poi anche più stati membri. Fa quasi tenerezza il ministro degli Esteri polacco Witold Waszczykowski quando si accorge, scandalizzato, che la Commissione vorrebbe creare «un’istituzione indipendente dagli stati nazionali: sorprendente». Così come il suo omologo ungherese, Peter Szijjarto, che tuona: «Non accetterò una assunzione d’autorità dei compiti di controllo alle frontiere». “E’ l’Europa – anzi l’Unione Europea – bellezze” verrebbe da rispondergli. 
Intanto la burocrazia di Bruxelles si è già infognata sull’interpretazione da dare agli articoli della nuova legge proposta dalla Commissione Europea. In particolare dell’articolo 18 dove si legge che una volta emesso l’atto di esecuzione «lo Stato deve rispettare la decisione della Commissione e (…) cooperare immediatamente con l’Agenzia». Da Bruxelles rassicurano che la trafila prevede che l’Agenzia venga consultata e che poi l’ingiunzione ad un paese membro sia approvata da un comitato in cui sono presenti tutti i paesi. D’altronde l’articolo 61 prevede che «l’attività dell’Agenzia alla frontiera esterna di un paese o nelle sue vicinanze deve avere il voto favorevole di questo stato» nel consiglio direttivo della stessa Agenzia. 
Ma anche Alexis Tsipras pensava che, da primo ministro legittimato dal voto popolare, avrebbe trattato alla pari con i suoi colleghi a Bruxelles e Berlino. Sappiamo però come è andata a finire…

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