Ormai è ufficiale: dal primo gennaio 2016 non è più possibile nascere nelle Madonie.
Con un messaggio di posta elettronica certificata pervenuto il 31 dicembre in Assessorato, il Ministero della Salute di Roma ha definitivamente sancito la chiusura del reparto Ostetricia e Ginecologica dell’Ospedale Madonna dell’ Alto, di Petralia Sottana.
Da ora in poi il reparto garantirà solamente le emergenze, reputate tali dal personale medico, che dalle h. 20.00 resterà in servizio con turni di reperibilità.
La chiusura del centro comporta un notevole disagio per la popolazione locale, in quanto lo stesso serviva tutti i centri montani del comprensorio delle Alte Madonie: ovvero i comuni di Petralia Sottana, Petralia Soprana, Polizzi Generosa, Gangi, Geraci Siculo, Castellana Sicula, Bompietro e Alimena. Complice una viabilità carente che in inverno diventa ancora più ostica per via delle precipitazioni nevose, le partorienti dovranno adesso sobbarcarsi almeno un’ora e mezza di auto per arrivare nei più vicini centri nascita di Cefalù e Termini Imerese o addirittura due ore di strada per giungere ai nosocomi di Palermo.
Il Ministro della salute Lorenzin ha recentemente dichiarato “A Petralia sono nati solo 128 bambini nel 2014, uno ogni tre giorni, senza nessuna prospettiva di aumento nei prossimi anni”. Non tutti sanno che la Lorenzin fa riferimento ad un processo normativo avviato nel 2010, quando venne siglato l’ Accordo tra il Governo le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, le Province i Comuni e le Comunità montane sul documento concernente “Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell’ appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”.
Nell’accordo citato si raccomandava di adottare stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1000 nascite all’anno quale parametro standard a cui tendere per il mantenimento/attivazione dei punti nascita; quelli con numerosità inferiore e comunque non al di sotto di 500 parti all’ anno, sarebbero stati previsti solo sulla base di motivate valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate.
Testualmente nelle premesse del documento si poteva leggere: i “punti nascita con un numero di parti inferiori a 500, privi di una copertura di guardia medico-ostetrica, anestesiologica e medico-pediatrica attiva h24, rappresentano ancora una quota intorno al 30% del totale e sono presenti, in particolar modo, nell’Italia centrale e meridionale. In tali strutture il numero di parti è esiguo (la media è inferiore ai 300 parti/anno) e rappresenta meno del 10% dei parti totali”.
Insomma quello che è accaduto a Petralia Sottana è un processo di tagli alla sanità sottoscritto già sei anni fa. Recentemente in provincia di Palermo, il centro nascite di Cefalù è riuscito solo grazie ad una proroga, a sottrarsi, temporaneamente, alla stessa sorte.
E’ risultata inefficace, dunque, la protesta politica del sindaco di Petralia, Santo Inguaggiato, del P.d., nonostante i suoi colleghi siedano sui banchi di comando di Regione e Governo.
Vacue, se non opportunistiche anche le prese di posizione pro-centro nascite di esponenti nazionali del suo stesso partito, come il sottosegretario di Stato, Davide Faraone e la deputata Magda Culotta.
Al di là di poche eccezioni, come già accaduto a suo tempo per Cefalù, dagli esponenti politici locali sono state esperite considerazioni e analisi che, più sul merito della questione, sembrano scadere in considerazioni campanilistiche.
Per chi scrive sarebbe fuorviante, senza per questo minimizzarne le responsabilità politiche, limitarsi a dire che si tratta di una scelta operata dall’amministrazione Crocetta in linea con quanto stabilito dal Governo nazionale. La politica dovrebbe invece ribadire che chiudere il centro, perché questo non raggiunge il numero di nascite stabilite (in funzione di parametri illogici), esula dalla concezione di sanità come servizio primario fondamentale, rivolto indistintamente a tutti i cittadini. Una sanità che dovrebbe essere concepita fuori dalle logiche di mercato, finisce nuovamente per essere ancorata al gioco della comparazione dei costi e dei ricavi, al fine di massimizzare i profitti. Il processo che ha coinvolto il nosocomio di Petralia e tanti altri in Italia, è stato solo formalmente avviato nel 2010, ai tempi dell’allora Governo Berlusconi. In realtà le origini sono da ricercare ancora più addietro, ossia nel modello neo-liberista e nelle misure di austerità imposte dall’Unione Europea. E’ prevalsa così la logica che spinge chi amministra a tagliare le risorse, finendo come nel caso di Madonna dell’Alto, a decretare la morte di quei centri che non rispettano gli “standard di produttività” previsti.
Occorrerebbe invece riportare la salute, così come l’istruzione, ad essere oggetto prioritario dell’intervento pubblico.
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