Il senso della tempistica dei nostri media – dei loro proprietari – si vede da certi dettagli. Oggi il Corriere della Sera spara un editoriale autorevole, di Franco Venturini, che chiede al governo di promuovere un intervento militare il Libia, per difendere un nostro non meglio precisato “interesse strategico”. Qualche ora prima il premier designato del nascente “governo di accordo nazionale” libico, Fayez Sarraj, era sfuggito a un agguato. Il convoglio di auto su cui viaggiava è finito sotto il tiro di armi da fuoco sulla via verso Misurata.
I dettagli sull’agguato dicono molto. Quello di ieri sera era il primo viaggio che Sarraj compiva in Libia da capo del nuovo governo di “riconciliazione nazionale”. Neanche il tempo di ottenere il placet dalle potenze occidentali, di stringere gli accordi minimi necessari con le fazioni rivali, di ripartire le malsicure poltrone ministeriali, ed ecco che sei già sotto il fuoco.
Di chi?
La domanda è oltremodo interessante, perché sia il bersaglio che i suoi protettori – a partire dall’evanescente ministro degli esteri italiano, Gentiloni (a proposito: ha messo mano nella delegazione che si è spartita i Rolex sauditi?) – si sono affrettati a rassicurare: “non si è trattato di un attentato terroristico”. Il che dovrebbe voler dire che non è stato l’Isis, ma qualcun altro. E in effetti, se fosse stata lIsis significherebbe di fatto che il vero controllo – politico e militare – del paese sono in quelle mani. Se invece si tratta di rapinatori comuni (in Libia?), Sarraj è stato politicamente davvero sfortunato, anche se ha avuto molta fortuna per essere sopravvissuto. Altrimenti non resta che pensare ai suoi alleati-rivali nel “nuovo governo unitario libico”. Il che getterebbe quantomeno un’ombra di incertezza sulla tenuta della compagine nelle prossime ore (inutile fare progetti a lungo termine, in queste condizioni).
La prima ipotesi è chiaramente infondata, anche perché Sarraj era atterrato a Misurata proveniente da Tunisi – sede neutrale dove si erano riunite le varie fazioni interessate formare il governo – ma per due ore era rimasto in aria, visto che dalla torre di controllo non arrivava l’autorizzazione al landing. Appena uscito dall’aeroporto un aspro confronto, drato un’ora, con miliziani contrari al progettato governo. Poi la visita frettolosa alle reclute di Zliten, sopravvissute all’attentato dell’Isis che ha fatto oltre 70 vittime. Poi, rientrando a Misurata, gli spari. Un po’ troppe coincidenze per non pensare a un allegro “comitato di accoglienza” per il premier in pectore…
Che in effetti ha reagito nell’unico modo “sicuro”: ha preso un elicottero ed è ritornato a… Tunisi.
Una situazione altamente ingovernabile, ultra-rischiosa per chiunque. Ma proprio per questo il Corriere – ovvero il gruppo di imprenditori che si è assunto il ruolo di opinion leader e king maker in questo paese – chiede al governo Renzi di prendere l’iniziativa di guidare un intervento militare. Prima che lo facciano francesi e inglesi (come avvenuto nell’abbattimento del governo Gheddafi), o addirittura gli Stati Uniti (che al momento non sembrano pensarci proprio).
Scrive infatti Venturini:
“Ma se al momento venuto non si riuscisse a insediare il neonato governo unitario in una Tripoli dominata dalle bande jihadiste, se il caos continuasse a tenere banco e nessuna alleanza di forze libiche (questo è lo schema immaginato) avesse i mezzi e la determinazione necessarie per affrontare e battere gli uomini del Califfo, cosa farebbe l’Italia?”
Dopo l’agguato a Serraj possiamo anche togliere il punto interrogativo. Quindi, secondo questo consiglio, il governo dovrebbe guidare la coalizione occidentale e “fermare subito l’Isis con bombardamenti mirati. Si badi bene, mirati contro gli stranieri dell’Isis, non contro questa o quella fazione libica”.
Venturini sa benissimo che è alquanto difficile che la “mira” possa essere così precisa, che – dunque – ci potrebbero essere molte “vittime collaterali” tra i civili libici, tanto da scatenare “una reazione nazionalista e antioccidentale di massa”. Reazione che, fuori dai denti, significherebbe esporre “le nostre truppe” ad agguati continui, praticati da tutte le milizie in cui è frammentato oggi il complicato popolo libico.
È consapevole anche che “mancherebbe la richiesta di intervento emessa da un nuovo governo unitario, sebbene talvolta l’urgenza prevalga sulle risoluzioni dell’Onu e la copertura generica del precedente documento del Consiglio di sicurezza possa comunque essere invocata”. Tradotto: sarebbe un intervento illegale, sia perché non richiesto dal “nuovo governo”, né autorizzato dall’Onu. Insomma, un intervento coloniale vecchio stampo, alla Giolitti o Mussolini.
Vale la pena di leggere la conclusione: “È una prospettiva, questa, che l’Italia deve sin d’ora respingere e condannare, invocando magari il ruolo svolto da rivalità economiche o energetiche con gli alleati? Non lo crediamo”.
Ma cosa c’è da guadagnare, da un’intervento simile. Del petrolio, pudicamente, Venturini non parla. Preferisce buttarla in retorica (“Ne va del «ruolo guida» che meritatamente le viene riconosciuto, ma che non potrà farla rimanere semplice spettatrice se l’Isis poggerà ancora il piede sull’acceleratore e punterà a nuove imprese”), anche se fa baluginare un minimo di obiettivo concreto (“Ne va della possibilità di recuperare, dopo aver battuto l’Isis, un progetto libico che deve prendere in conto anche la limitazione e il controllo del flusso dei migranti verso le nostre coste”).
In definitiva, però, prevale e conclude la retorica: “Ne va, in definitiva, del successo o dell’insuccesso della politica estera italiana”.
E l’Unione Europea, l’afflato comunitario che tutto dovrebbe tenere insieme (economia, fisco, bilancio pubblico, riforme costituzionali)? Chissenefrega, omette di dire Venturini. Qui stiamo parlando dell’”altra sponda del Mare Nostrum”, mussolinianamente, mica a far di conto con i burocrati di Bruxelles.
Se questo è l’apice dei media italiani, non deve stupire che Renzi sia il massimo che questo regime di classe sa offrire…
Un motivo in più per vederci in piazza subito, il 16 gennaio.
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