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Il “caso Quarto”. Faccia tosta del Pd e i “bachi” dell’ideologia grillina

Il bue che dice cornuto all’asino è un classico del trasformismo italico, un modo d’essere connaturato al lato peggiore delle peggiori subculture di un paese allo sbando.

Non a caso è stata la reazione dell’intero Pd di fronte alla notizia insperata: un consigliere del Movimento 5 Stelle di Quarto – comune dell’interland napoletano nel recente passato per infiltrazioni della camorra – avrebbe ricevuto il voto delle famiglie camorristiche locali. Un fatto grave, che dimostra quanto determinati fenomeni siano radicati “nel popolo”, abbiano una “base di massa” certamente inquietante, capace di spostare pacchi di voti considerevoli, tale da non consentire risposte facili, “populiste”, ovvero semplificatrici.

I Cinque Stelle sono stati certamente dei campioni nella semplificazione dei problemi sociali e politici più complicati, tanto da ridurre quasi sempre la complessità a un binomio alquanto stupido: “onestà” contro “illegalità”. Ma che siano gli sgherri di Matteo Renzi a intonare ritmando “onestà, onestà” in faccia alla sindaca pentastellata Rosa Capuozzo, in effetti, fa gridare vendetta. Specie se ciò avviene nel giorno delle prime condanne per Mafia Capitale, a carico dell’ex assessore alla casa del Comune di Roma (Daniele Ozzimo) e dell’ex consigliere Massimo Caprari, entrambi esponenti di spicco del Pd romano.

Detto questo, resta il fatto: la “cultura politica” – diciamo così – del Movimento 5 Stelle non regge la prova dell’amministrazione concreta. Gli schematismi ideologici assunti come dogmi – “la rete”, “onestà”, ecc – vanno benissimo per conquistare il consenso elettorale in un paese squassato dal malessere sociale e privo di prospettive realistiche, con figure sociali che fanno fatica persino a riconoscere i propri iteressi concreti (il lavoro dipendente di ogni ordine e grado o contratto, per esempio). Ma non servono a nulla quando bisogna fare qualcosa, realizzare programmi, assecondare alcuni interessi sociali bastonandone altri.

Beppe Grillo, in un raro momento di serietà, ha scritto ieri nel suo blog A chi ha orecchie per intendere ribadiamo un concetto che per noi è scontato: i voti delle mafie ci fanno schifo. Le mafie da sempre tentano di salire sul carro del vincitore. Ci hanno provato anche con il M5S a Quarto e succederà anche in futuro”.

Le mafie, le imprese, le banche, la finanza... tutte queste concrezioni di potere organizzato praticano da sempre lo stesso principio: salire sul carro del vincitore, se proprio non si è riusciti a far vincere il proprio rappresentante (il governo Renzi, per ora). Quindi occorrerebbe un movimento molto più consapevole della reale struttura sociale e di potere del paese per disegnare un progetto non solo “diverso”, ma realmente alternativo.

Per noi era scontato fin dall’inizio: se il tuo modo di selezionare dei “rappresentanti politici”, tanto per le elezioni politiche quanto per quelle amministrative, è quello dei meetup cui si può iscrivere chiunque, purché non sia pregiudicato o con un procedimento in corso, è inevitabile che si crei un “baco” che consente di ottenere due risultati negativi in un colpo solo: a) si perde la possibilità di impiegare soggetti validi, realmente fuori dagli intrighi di potere, ma che hanno pagato il loro pulitissimo attivismo sociale subendo denunce, fermi, perquisizioni, ecc; b) si lascia la porta aperta a tutti quei complici dei poteri più fetidi che hanno l’unica qualità di non essere ancora incappati in un’inchiesta.

Come a Quarto, insomma.

 

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