Egregio Prefetto Gabrielli,
siamo la Roma solidale. Siamo le realtà associative, gli spazi sociali che si fanno carico, in questa città, della produzione culturale indipendente, della garanzia di tanti servizi essenziali di cui il pubblico non riesce a farsi carico, dell’organizzazione delle esperienze di solidarietà e di mutualismo che sole offrono un’alternativa concreta e tangibile alla precarietà, alla marginalità, all’abbandono delle periferie, alla guerra tra poveri, alla solitudine di troppi abitanti di questa città.
Come Lei certamente saprà, da molti mesi gli uffici amministrativi di Roma Capitale hanno recapitato alle nostre associazioni e ai nostri spazi una serie di Determinazioni dirigenziali nelle quali ci viene intimato il rilascio dei luoghi nei quali (in alcuni casi da decenni) svolgiamo le nostre attività, e ci viene annunciato il loro reintegro in possesso da parte dell’amministrazione comunale. Tali atti si riferiscono a quell’insieme di realtà – diverse centinaia – che, da tempo, avevano trovato un riconoscimento da parte dell’Amministrazione comunale attraverso l’applicazione – benché parziale – della delibera 26 del 1995.
Per questa ragione, con lo slogan “Roma non si vende”, una coalizione eterogenea di realtà territoriali e associative, lo scorso 19 marzo, ha convocato una manifestazione alla quale hanno partecipato più di 20mila cittadine e cittadini, con la richiesta, tra le altre, di una moratoria “giubilare” contro l’esecuzione di questo piano cieco ed efferato di sgomberi, e dell’apertura di un’interlocuzione capace di trovare una soluzione – seppur transitoria – che preservi la continuità di tutte le esperienze caratterizzate da un alto ed imprescindibile valore sociale per la città. Contemporaneamente, abbiamo avviato tra i cittadini e gli abitanti di Roma una consultazione democratica, “dal basso”, per scrivere una Carta di Roma Comune, una Carta che disegni nuovi principi e nuovi criteri per una gestione partecipata del patrimonio pubblico. Una Carta che vuole essere la base per un confronto con la futura Giunta per una soluzione deliberativa. La scrittura collettiva di questa Carta è il nostro modo per segnalare la disponibilità al confronto e all’individuazione di un nuovo dispositivo di riconoscimento giuridico di queste realtà, ma anche il modo per evidenziare l’ancoraggio ad alcuni principi conformi alla nostra Carta costituzionale, come quello del rispetto dell’autonomia e del valore sociale di queste esperienze, più in generale, della valorizzazione del pluralismo sociale e dei “corpi intermedi”. Principi ai quali non siamo disposti in alcun modo a rinunciare.
Pratichiamo un uso comune del patrimonio pubblico, un uso del patrimonio sottoposto alla decisione e alla partecipazione democratica e non a presunti criteri “neutrali” e stabiliti “dall’alto”. Crediamo fermamente nella possibilità di un “altro modo di possedere”, un modo di possedere non fondato sulla proprietà ma sull’uso civico, per citare l’eminente giurista e storico del diritto Paolo Grossi, attuale Presidente della Corte Costituzionale, così come sappiamo che la nostra Costituzione afferma la funzione sociale della proprietà privata.
Nelle scorse settimane, siamo riusciti ad ottenere un tavolo di interlocuzione con alcuni esponenti dell’Amministrazione commissariale di questa città, in particolare con il Sub-Commissario al Demanio e al Patrimonio, dott. Bruno Spadoni. Nonostante la nostra richiesta di tregua rispetto agli sgomberi, tale interlocuzione, per esplicita volontà dell’Amministrazione, si è tuttavia limitata ad un approfondimento degli aspetti “tecnico-giuridici” della vicenda. Un confronto a nostro avviso utile, e speriamo proficuo, ma che finora non ha preso in considerazione misure atte a stabilire concretamente una sospensione delle azioni di forza, affidate in prima istanza alla Polizia di Roma Capitale.
Eravamo abituati a considerare i tavoli di confronto come la ricerca di una soluzione alternativa all’uso della forza. In questo caso, il mondo è alla rovescia: ci viene manifestata la disponibilità a trovare una soluzione “tecnica” ma nel frattempo l’Amministrazione non si ferma rispetto agli “ultimatum” e agli “sgomberi”. Un confronto, dunque, paradossale, perché privato ab origine di quel tenore politico che non può non presiedere all’azione di governo di una città come Roma. Un confronto, insomma, incapace di affrontare il tema per le sue connotazioni propriamente sociali, ma solo come un problema di mera contabilità e di ordine pubblico.
Ci rivolgiamo dunque a Lei quale garante dell’ordine pubblico, ma anche, nel vuoto della politica, quale rappresentate delle istituzioni, per chiederle una risposta e l’apertura di un’interlocuzione che riguardi l’insieme delle realtà coinvolte da questa situazione a dir poco emergenziale.
Per questo oggi, mentre nella sede della Prefettura si riunisce un tavolo ad hoc sulla questione sgomberi, siamo saliti sulle impalcature della Basilica di Massenzio, all’interno dei Fori Imperiali, in questo luogo sublime della città, dare visibilità alla nostra protesta e per comunicare con Lei, con l’Amministrazione capitolina e con la cittadinanza tutta. Perché gli spazi sociali sono una ricchezza di questa città, e vogliono continuare a esistere e a lottare per il cambiamento.
Roma Non Si Vende
Mercoledì 13 Aprile 2016