Una Camera sola, riempita di nominati dal futuro premier e senza più la possibilità – almeno teorica – che la stampa possa mettere becco sull’azione della classe politica.
Orwell? No, il governo Renzi.
Spulciando tra le norme proposte da un disegno di legge (ddl) presentato come primo firmatario dal piddino Doris Lo Moro, qualcuno si è accorto che con la scusa ufficiale di difendere gli amministratori pubblici da intimidazioni, violenze e minacce si vuole bloccare qualsiasi critica giornalistica «ai danni di un componente di un corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa dell’adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio».
Ma che c’entrano le violenze e le minacce con l’informazione? Niente, con tutta evidenza. Ma per questa classe politica sono la stessa cosa.
La norma “scoperta” fa riferimento all’articolo 595 del Codice penale sul reato di diffamazione e prevede un’aggravante specifica qualora “l’offesa” sia arrecata col mezzo della stampa; la pena aumenta, passando dagli attuali 6 a 9 anni.
E dire che questo governo aveva annunciato – all’inizio – di voler eliminare il carcere dalle pene previste per il reato di diffamazione…
«È grave – scrivono Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti della FNSI – che il Parlamento lavori ad inasprire le sanzioni a carico dei giornalisti», soprattutto quelli «che per svolgere il proprio dovere fanno i conti ogni giorno con intimidazioni e minacce della criminalità». «Da un lato si sbandiera come già realizzata (ma di fatto insabbiata) l’abolizione del carcere per la diffamazione a mezzo stampa – commenta l’Ordine – dall’altro, con un blitz, si inaspriscono le pene determinando una disparità di trattamento tra politici e magistrati, che vengono considerati cittadini di serie A, e tutti gli altri».
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