Sempre più in difficoltà sul fronte interno, Matteo Renzi fa una svolta berlusconiana nel rapporto con l'Unione Europea. “Berlusconiana” significa letteralmente tutta apparenza, niente sostanza.
Alla fine del vertice di Bratislava ha infatti platealmente convocato una conferenza stampa in modo da poter enfatizzare il suo “dissenso” rispetto al documento conclusivo del vertice. Soprattutto sui punti relativi a "crescita e immigrazione".
Mentre dunque i due “grandi” che lo avevano appena introdotto nel nuovo triunvirato europeo post-Brexit recitavano da soli – in un'altra sala del palazzo di Bratislava – l'ennesimo copione dedicato al “clima di collaborazione” che il vertice avrebbe dimostrato, Renzi da una parte e il gruppo di Visegrad dall'altra davano la stura al malessere letale che sta attraversando l'Unione a 27.
I piccoli paesi dell'Est – nonostante non abbiano ancora assunto l'euro come moneta, evitando così un disastro paragonabile a quello greco – sono da tempo coordinati autonomamente, adottando un'agenda uguale e contraria a quella decisa a Bruxelles. Per capirsi, nessuna accoglienza di profughi o migranti a Africa e Medio Oriente, ritorno più o meno veloce alle sovranità nazionali e nazionaliste, con blocchi delle frontiere molto più frequenti e radicali, sulla falsariga di quanto avvenuto in Austria, Ungheria e Macedonia nell'ultimo anno.
Il solitario “mezzo grande”, ovvero l'Italia renziana, batte invece i pugni in conferenza stampa. Il florilegio di espressioni in classico stile matteico è davvero notevole, stando a quanto riportato poi dai media: “definire il documento sui migranti di oggi un passo avanti richiede della fantasia degna dei funamboli da vocabolario. Si sono ridette le solite cose e io gliel'ho detto molto chiaramente: 'Non è che potete pensare che con l'accordo con la Turchia avete risolto tutti i vostri problemi'".
O addirittura: o "l'Ue fa accordi con i Paesi africani o li facciamo da soli", perché "l'unica cosa che fa la guardia costiera europea” (Frontex) è "portare i migranti in Sicilia". Ci si nota un leggero sentor di Salvini, e non è fine…
Ancor peggio sulla crescita: “l'austerity non ha funzionato", serve "una chiara strategia di crescita". Minacciando addirittura la messa in discussione del principale trattato degli ultimi anni, il Fiscal Compact firmato nel 2012: "si deve decidere cosa fare, se ha un futuro o no". Sottintendendo che per lui si può anche farne a meno, recuperando così quel tanto di autonomia nella gestione di un debito altrimenti strangolante (secondo quell'accordo l'Italia dovrebbe ridurlo del 5% l'anno per i prossimi 20 anni, suicidandosi così nel tentativo di arrivare al 60% rispetto al Pil).
Fosse vero, avremmo un premier che pensa – per “il fare” ci dovrebbe far vedere qualcosa di opposto a quanto fatto finora… – qualcosa di interessante e utile per un paese disastrato.
Peccato che non sia affatto così. I cronisti più addentro alle dinamiche di palazzo riferiscono di uno smacco clamoroso subito con l'esclusione dalla conferenza dei “due grandi”, proprio all'indomani del vertice mediterraneo che era sembrato cementare un “fronte della flessibilità” meridionale contrapposto o almeno differenziato dal “fronte dell'austerità” settentrionale. Non a caso l'espressione più usata nella corte renziana riguarda il «compagno traditore» dell'Eliseo.
Soprattutto, non sembra che Renzi si sia speso in parole altettanto di fuoco dentro il vertice. Intanto perché il documento finale porta la firma di tutti i capi di stato o presidenti del consiglio, quindi le prese di distanza postume valgono un fico secco (come hanno commentato ufficialmente da Berlino: "Rinviamo alla conferenza stampa della cancelliera di ieri sera a Bratislava dove ha descritto lo 'spirito' di Bratislava", hanno riferito a Berlino ambienti di governo. Poi "c'è questa roadmap che ieri è stata condivisa e concordata da tutti e 27"). Ma anche perché qualche cronista ha potuto assistere, dopo le rispettive conferenze stampa, ad un casuale incrocio nei corridoi tra lo stesso Renzi e Hollande, con quest'ultimo che, oramai avvertito della pubblica sfuriata italica, si fermava a chiedergli “ma che è successo?”. Traducibile senza malizia in un "ma non ci avevi detto niente…"
Parlare di sceneggiata forse può essere eccessivo, ma non si sfugge all'impressione che l'intemerata di Bratislava sia tutta a scopi interni. Il voto sul referendum si avvicina anche se ancora Renzi si rifiuta di indicare la data (ha promesso che la deciderà il consiglio dei ministri convocato per il 26), e nessun sondaggio indica il “sì” favorito. Le condizioni dell'economia peggiorano rapidamente, di “crescita” ormai parlano solo lui, Padoan e Poletti, e persino Confindustria – due giorni fa – ha virato decisamente verso il pessimismo e l'insoddisfazione. Nei salotti che contano – quelli popolati dai possidenti che “lo hanno messo lì” (come disse Sergio Marchionne, assumendosene il merito) – evidentemente si va formando una fila di candidati alla successione. E Renzo lo sa.
Dunque la “svolta berlusconiana” punta decisamente a convincere qualche ingenuo che “ora con l'Europa ci facciamo sentire”, perché "se l'Europa deve riavvicinarsi ai cittadini non può essere quel soggetto che mi impedisce di intervenire in edilizia scolastica".
Ha qualche possibilità di riuscirci? Quel che ha combinato in due anni e mezzo di governo sta lì davanti a tutti ed è innascondibile. Il calendario, poi, non lo aiuta troppo. Entro il 15 ottobre deve presentare alla Commissione Europea la bozza della legge di stabilità, comprendente una manovra finanziaria pesante (nell'ordine dei 25 miliardi, si stima anche in sede confindustriale) che si dovrà concretizzare in misure impopolari (dai tagli alla sanità in giù) e che lascia zero spazio alla politichetta dei “bonus” sparsi qua e là.
L'Unione Europea che conta, dopo la sortita di Bratislava, sarà probabilmente ancor meno malleabile di prima per quanto riguarda le richieste di “flessibilità” sul deficit. Meno di tutti la Germania, ieri apertamente accusata di “non rispettare le regole sul surplus” (cosa verissima, e da molti anni, ma poco utile a conquistarsi simpatie tedesche). Le obiezioni europee e le richieste di correzione arriveranno a stretto giro di posta, al massimo entro un mese.
La manovra definitiva verrà scritta nero su bianco solo negli ultimissimimesi dell'anno, ma le settimane precedenti saranno un fuoco di artificio di indiscrezioni. Tante promesse da parte governative, tanti rimproverio da parte europea, tanti “sacrifici” nelle previsioni degli analisti più informati.
E in quel buridone andrà a cadere il giorno del referendum, che lui stesso ormai si è cucito addosso come il “giorno del giudizio”.
Fare berlusconate, del resto, non ha mai portato bene ai prmier travicello italici…
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