Difficile appassionarsi alle riunioni della direzione Pd, lo ammettiamo. Neanche quella di ieri ha suscitato pathos, tanto era prevedibile. Secondo le anticipazioni dei “retroscenisti” – triste figura solo italiana del giornalismo più deteriore, un tempo chiamato anche “minzolinismo” – Matteo Renzi si sarebbe dovuto presentare con una proposta che non si può rifiutare, che avrebbe costretto la minoranza dem ad alzare le mani al cielo o prendersi la responsabilità di una spaccatura.
Non c'è stata né l'una né l'altra. Renzi ha promesso che si potrà discutere di riforma della legge elettorale solo dopo l'effettuazione del referendum, perché ormai non c'è più tempo, la campagna elettorale è partita e tutto il paese andrebbe concentrato su questa scadenza. La minoranza ha promesso che se continua così un giorno ci sarà una spaccatura per colpa del premier-segretario.
Una noia mortale che ammazzerebbe anche dei tifosi del campionato di terza categoria (quella in cui non si può retrocedere oltre).
Chi può prendere sul serio la proposta renziana di costituire -a gennaio – una “commissione” di cinque esploratori del Pd, comprendente un solo membro della minoranza, incaricati di verificare con gli altri partiti la possibilità di una mediazione condivisa sulla riforma dell'Italicum? Chi può fidarsi della promessa di “apertura su tutto” (dal premio alla coalizione invece che al singolo partito, fino all'eliminazione dei capilista bloccati candidabili quasi ovunque, ecc), ma il prossimo anno? Se al referendum vincerà il NO Matteo Renzi dovrà cominciare a sgomberare le stanze di Palazzo Chigi e di via del Nazareno, e cercarsi un altro mestiere (non preoccupatevi, glielo troveranno…). Se vincerà il SI avrà bisogno di mediare soltanto con la destra berlusconiana, perché – a bocce ferme – il meccanismo dell'Italicum premierebbe i Cinque Stelle e non la piccola falange renziana.
Nel primo caso la minoranza dem avrebbe via libera per tentare d riprendersi un partito che si era lasciato sfilare da un contafrottole “scoperto” da Verdini e la massoneria toscana; ma dovrebbe gestire macerie, non una riscossa. Nel secondo caso, non le resterebbe che via dell'abbandono della politica o della scissione, con la poco allettante prospettiva di una fusione in tempi brevi con Sel. Roba da 5-8%, nel migliore dei casi, e addio a qualsiasi sogno di gloria.
Se anche la politica italiana fosse indipendente dalle decisioni della Troika, insomma, lo spazio politico per i vecchi tromboni che hanno guidato la liquefazione dal Pci fino a Renzi sarebbe ristretto a un piccolo mondo di nostalgici che non hanno compreso quanto avvenuto, e sottoposti alla dura selezione della fisiologia umana.
Non dispongono infatti di uno straccio di programma politico differente e distinguente, tantomeno coinvolgente e appassionante. Nelle sue comparsate televisive più recenti, per esempio, il povero Luigi Bersani rivendicava ancora le privatizzazioni fatte da lui e Prodi, rimproverando al piazzista fiorentino di averne fatte poche (forse perché c'è rmasto ben poco da privatizzare, dopo i “clamorosi successi” di Telecom, Alitalia, Ilva, le banche di interesse nazionale, ecc). E quel che resta della borghesia italiana, tra delocalizzazioni e finanziarizzazione, ha già avuto tutto quel che poteva chiedere a dei governi servili.
Resterebbero le "larghe masse" di lavoratori precarizzati e giovani senza lavoro. Ma da quelle parti, quando si sente nominare il Pd, parte solo una raffica di insulti…
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