L'Unione Europea – è noto – decide in ultima analisi di quale deve essere la politica finanziaria di tutti gli stati membri . Chi non l'ha ancora capito può chiedere informazioni alla Grecia, svuotata ogni giorno di più di risorse (l'autonomia decisionale è andata un anno e mezzo fa…).
Quindi sta diventando agli occhi delle popolazioni del continente – con declinazioni molto diverse, dal nazionalismo di destra alla resistenza popolare vera e propria – il vero nemico di cui liberarsi.
Ma può servire anche come comodo specchietto per allodole miopi, in mano a presidenti del consiglio in difficoltà che devono a tutti i costi superare una prova decisiva. E Matteo Renzi, da qualche mese, sta facendo esattamente questo, occhieggiando ai voti della destra berlusconiana e leghista, che potrebbero diventare decisivi il 4 dicembre, data del referendum sulla controriforma costituzionale.
Da settimane, infatti, sta sceneggiando uno “scontro” che più finto non si può. Terreno obbligato è la legge di stabilità, ben lontana – nelle cifre e nelle spese – da quanto previsto nei trattati dell'Unione. Tutti sanno, soprattutto a Bruxelles, che l'Italietta renziana non ha margini di autonomia che possano andare al di là della “flessibilità sui conti” già concessa dai trattati e sfruttata appieno – nei due anni passati – dal governo italiano.
Però – a Roma – si continua a recitare la parte dei duri che dicono di voler decidere di testa propria. Su questa via ha preso piede, ieri, lo scambio di battute con Juncker, presidente della Commissione (il governo) Europea. Da un lato il guitto di Rignano, che sciorina frasi a uso interno, prontamente riportate in grandi titoli sui media nazionali: "Juncker dice che faccio polemica. Noi non facciamo polemica, non guardiamo in faccia nessuno. Perché una cosa è il rispetto delle regole, altro è che queste regole possano andare contro la stabilità delle scuole dei nostri figli. Si può discutere di investimenti per il futuro ma sull'edilizia scolastica non c'è possibilità di bloccarci: noi quei soldi li mettiamo fuori dal Patto di stabilità, vogliano o meno i funzionari di Bruxelles".
Dall'altra il serafico ottantenne lussemburghese, ben conscio dello squilibrio a suo favore nei rapporti di forza, che si scrolla di dosso la mosca italiana con un je m'en fous inequivocabile. Me ne fotto di quel che dice Renzi, per esser chiari, perché il giovanotto sa bene che la Commissione ha fin qui protetto il suo governo dalle spinte molto più severe, in materia di austerità sui conti, provenienti dai paesi del Grande Nord (Germania, Olanda, Finlandia e persino i paesini dell'Est europeo).
Inutile dunque andar dietro alle chiacchiere rodomontesche del Giglio Magico. È tutta fuffa ad uso delle telecamere, che durerà – potete scommetterci – fino alla sera del 4 dicembre. Poi, anche se sciaguratamente dovesse vincere lui, si smetterà di giocare a fare i duri con gli euroburocrati. Che tutti insieme sono pronti a dire on se fout de lui.
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